«Gli emendamenti del governo al disegno di legge Bonafede sul processo penale in pratica scrivono un testo nuovo. Quella della giustizia è una delle riforme più importanti e più attese per il nostro paese, come ha confermato pochi giorni la stessa presidente della Commissione europea in visita a Roma. E allora come si poteva pensare di non farla passare per il Consiglio dei ministri?». Le voci di dentro del ministero di Marta Cartabia offrono una spiegazione semplice alla decisione per niente consueta – e non prevista in nessuno dei vari cronoprogrammi sull’attuazione del Piano nazionale di riprese e resilienza che circolano da mesi tra palazzo Chigi e il parlamento – di far approvare dal Consiglio dei ministri gli emendamenti sulla prescrizione, le limitazioni al processo di appello, l’udienza filtro e tutti le altre modifiche al processo penale ancora dibattute nella maggioranza. Quando Draghi l’ha fatto cadere mercoledì in conferenza stampa – «la riforma della giustizia dovrebbe andare a giorni in Consiglio dei ministri» – non tutti avevano capito il senso, visto che i disegni di legge sono già alla camera da mesi. Ma Cartabia ha deciso di far approvare ai colleghi ministri il testo dei suoi emendamenti, e quindi anche la mediazione sulla prescrizione, come se si trattasse di un nuovo provvedimento. Ottenendo un timbro ufficiale con il quale inchiodare la maggioranza al sostegno parlamentare. La ministra lo farà «presto, prestissimo» ha ripetuto ieri, ma non è ancora certo che sia la prossima settimana.

Riassumere le mediazioni attorno al tavolo di palazzo Chigi presenta per Cartabia un doppio e speculare vantaggio. Da un lato tiene fuori l’ala sostanzialista del movimento 5 Stelle, rappresentata dall’ex ministro Bonafede che ha già subito un colpo con gli emendamenti governativi al processo civile (che in questo caso nessuno ha pensato di far passare per il Consiglio dei ministri). Con Patuanelli, D’Incà e il nuovo Di Maio «garantista», Cartabia e Draghi hanno meno difficoltà a trovare un accorso. D’altra parte il passaggio serve anche a vincolare la Lega. Salvini non è in Consiglio dei ministri ma è in ogni altro luogo a fare propaganda per i referendum che – anche se non intervengono direttamente sui punti delle riforme in programma – di fatto si pongono in contraddizione con gli equilibri faticosamente costruiti da Cartabia. E attirano Forza Italia su un terreno di scontro con gli alleati di governo. Ieri a problema si è aggiunto problema, vista la partecipazione di mezza maggioranza (no Pd, M5S e Leu) e di Fratelli d’Italia all’iniziativa dell’Unione camere penali a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per la separazione delle carriere. Dimenticata in parlamento fino a che Salvini non ha spostato i sei referendum radicali, tra i quali ce n’è uno di simile impatto. In piazza c’era certo Salvini, ma ache il sottosegretario alla giustizia (di Forza Italia) Sisto.

Vidimati che saranno dal Consiglio dei ministri, gli emendamenti del governo al processo penale potranno difficilmente essere messi in discussione. Anche se rimarranno formalmente esposti ai subemendamenti e al lungo iter in commissione che andrà avanti tutto luglio. Nessun dubbio che l’attuale lodo Conte sulla prescrizione, ultima trincea dei 5 Stelle, sarà cambiato. Non nel senso più coraggioso della prescrizione processuale pure ipotizzato dalla commissione Lattanzi, ma in modo simile a quello proposto dal Pd e da Leu che prevede una «improcedibilità» in caso di durata abnorme del processo. Soluzione che pure la commissione Lattanzi aveva criticato dal punto di vista tecnico. Ma, come dice un deputato dem che segue il dossier, «prima della purezza tecnica adesso ci sono le ragioni della politica».