Recuperare i fondi tagliati all’università e alla ricerca e tornare al livello di dieci anni fa. Nell’immediato raddoppiare o triplicare il numero di posti di ricercatori da assumere. Il governo ne ha previsti 861. Bisogna arrivare a 2400 all’anno per i prossimi otto e aumentare i fondi per gli atenei di un miliardo di euro all’anno. Bisogna inoltre aumentare i fondi per la ricerca Prin dagli attuali 92 milioni a 300 milioni all’anno. Sono le richieste al governo di uno dei più celebri fisici italiani, Giorgio Parisi, animatore della campagna «Salviamo la ricerca» nata da una petizione pubblicata su Nature e su change.org che ha già raccolto 45 mila adesioni. Questa prospettiva animerà il convegno organizzato dal fisico romano stamattina alla Sapienza al quale parteciperanno Fabiola Giannotti (direttrice del Cern) e uno dei padri della scoperta delle onde gravitazionali Adalberto Giazzotto(Infn). (Qui i volti e le storie della fotopetizione online)

La ministra Giannini ha rilanciato il programma nazionale della ricerca (PnR) pari a 12 miliardi complessivi fino al 2020. È soddisfatto?
Di Pnr ne abbiamo visti tanti ma quasi mai in passato sono stati realizzati. Ricordo che ne fece uno anche Gelmini, con scarsi risultati. In attesa degli annunci, resto ai fatti. Dal 2008 ad oggi, il fondo ordinario per gli atenei, tenendo conto dell’inflazione, è sceso di circa il 20%, quasi un miliardo e mezzo di euro in meno. È da qui che bisogna ripartire.

Quali sono state le conseguenze sui ricercatori?
A causa dei tagli di tremonti sono mancate 15 mila assunzioni di giovani ricercatori. Cinquemila già ne mancavano nel 2006, con i tagli sono quasi 20 mila. Il risultato è assurdo. Prendiamo un settore come la meccanica statistica, una disciplina che si occupa sia della fisica dello stato solido che di quella della complessità. Al Cnrs francese in questo settore gli italiani sono più dei francesi. Addirittura nel comitato che fa le assunzioni gli italiani sono più dei francesi. A Londra c’è una posizione aperta al King’s College. Su sei candidati invitati al colloquio, sei erano italiani. Una quantità enorme di giovani ricercatori italiani sta invadendo mezza europa. Quando si stabiliscono all’età dei 40 anni non si riesce più a richiamarli in Italia. Più ne mandi fuori, più è difficile riportarli indietro.

Ritiene che basterà l’assunzione di 861 ricercatori?
No. Solo quest’anno bisognerebbe triplicarli, come minimo. È chiaro che non ne puoi assumere 10 mila in un anno però devono essere di più. Facciamo un calcolo. In italia ci saranno circa 2 mila dipartimenti nell’università. Se ne assumi 863 sono meno di mezzo per dipartimento. Non bastano. Bisogna arrivare a 2400 mila posti all’anno per otto anni consecutivi.

Cosa pensa dei 500 ricercatori chiamati direttamente dall’estero, anche senza abilitazione?

I dettagli sono cruciali. Già oggi le università possono chiamare persone che stanno alle’stero senza passare dalle abilitazioni. Nella situazione in cui siamo potrebbero anche non trovare 500 persone. E se ci riuscissero, non è detto che le persone selezionate siano di qualità.

Addirittura?
Per accettare un posto, un biologo vuole sapere se potrà costruire un laboratorio. Se non gli dai i soldi per farlo, quello non viene. In Germania ai nuovi professori viene messo a disposizione un milione di euro per il suo laboratorio. In Italia vorrei almeno 200 mila euro per fare un minimo di ricerca. Il biologo potrebbe essere associato a un gruppo di ricerca, ma non è facile. Un gruppo di ricerca di media grandezza in biologia può spendere 100 mila euro all’anno solo in prodotti chimici. E in Italia ci sono sempre meno soldi…

Il miliardo in più all’anno per sostenere tutta l’università finirà solo allo «Human Technopole» nell’area Expo a Milano. Il governo spenderà la stessa cifra, ma in dieci anni.
La progettazione di un investimento di tale grandezza si sarebbe dovuto fare coinvolgendo tutta la comunità scientifica e non solo un piccolo numero di persone. Una delle caratteristiche della scienza è di far circolare le informazioni e non di procedere nelle segrete stanze. Questo non solo per un lodevole desiderio di trasparenza, ma anche per migliorare il risultato finale. Viene proprio la voglia di sapere perché sono fatte determinate scelte e non altre. Tuttavia temo che questo rimarrà ufficialmente un mistero. Questo progetto mi sembra in linea con la rottamazione renziana delle istituzioni esistenti. Si vuole creare qualcosa di nuovo, ma si rischia di cancellare quello che esiste. Forse funziona male, ma continua a funzionare.

I ricercatori precari, impegnati in uno «sciopero alla rovescia», chiedono il riconoscimento del sussidio di disoccupazione. Perché in Italia la ricerca non è considerata un lavoro?
Deve esserlo. Lo dice la carta europea dei ricercatori: i ricercatori vanno trattati da lavoratori. Ricordo che la commissione europea pretende che gli assegnisti di ricerca siano considerati tali, altrimenti non finanzierà il loro lavoro. Sarebbe un disastro. Su questo c’è un contenzioso tra il governo e l’Europa. Sono assolutamente favorevole a dare tutte le possibili garanzie a chi fa ricerca. Dico di più: bisogna considerare un lavoro anche il dottorato. Bisogna raddoppiare questi posti e riconoscere a tutti un vero contratto di lavoro, oltre che i diritti previdenziali. Bisogna cambiare a fondo questa situazione. Anche a questo servono i fondi supplementari per la ricerca e l’università.