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Giardini: finzione di Pompei, dell’Alhambra…

"Giardini storici, verità e finzione. Letture critiche dei modelli storici nel paesaggio dei secoli XX e XXI", a cura di José Tito Rojo e Simonetta Zanon, edito dalla Fondazione Benetton I vari tipi di «riuso» della tradizione, nei secoli XX e XXI. Fino a Pechino, aeroporto di Daxing

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 luglio 2022

Nel dibattito più recente attorno al tema del «giardino storico» irrompe la variabile eccentrica – ma dal significativo rilievo storiografico – delle finzioni nei giardini: cioè a dire dei molti ritorni di stili ed esplicite riletture di modelli del passato che con minore o maggior grado di intenzionalità, o magari programmaticamente, si sono susseguiti, e specialmente nel corso del primo Novecento. In corrispondenza con il precisarsi dello statuto disciplinare di una storia del giardino ancora in corso di definizione, quando si era andata affermando un’estetica che associava il prevalere di ogni stile, nelle diverse epoche, a un diverso paese, territorio, cultura. Così, nel Medioevo il giardino non poteva che essere italiano, mentre si sarebbe poi trasferito in Francia con il Seicento per farsi quindi, nei secoli successivi, all’inglese, seppur con molte varianti.
Una visione dove riletture critiche e uso della storia si confondono. Tanto più quanto l’approccio al passato sovrapponeva con la stessa legittimità l’idea del restauro dell’esistente e la reinvenzione tramite nuovi interventi progettuali – anche sulla base delle controspinte della modernità e delle innovazioni proposte dalle avanguardie. Una visione dai tratti nazionalistici, che assortendo elementi distanti, finisce anche per implicare interpretazioni erronee e manipolazioni identitarie.
Indagare, in particolare da allora, la storicità dei molti tentativi di recupero di giardini che nel tempo avevano modificato la propria fisionomia, per forza di abbandoni o sovrapporsi di usi e letture diversi dagli originari, è l’intento delle ricerche promosse dalla Fondazione Benetton e raccolte a cura di Monique Mosser, José Tito Rojo e Simonetta Zanon nel volume Giardini storici, verità e finzione Letture critiche dei modelli storici nel paesaggio dei secoli XX e XXI (pp. 316, € 30,00).
Nel succedersi e incrociarsi di imitazioni, copie, varianti e interpretazioni di modelli storici emergono diverse letture, tipologie e funzioni.
Esser fonte di ispirazione, come quella che ritrovamenti e scavi dei giardini di Pompei esercitano in varie fasi a cavallo fra Otto e Novecento, tra evocazione romantica e attenzione filologica – i Römischen Bäder di Potsdam, progettati da Karl Friedrich Schinkel nel 1829, dove nella relazione interno esterno dei peristili risuona l’eco del succedersi di pergole, oppure, in Costa Azzurra, la Villa Kerylos con viridario realizzata a inizio Novecento da Emmanuel Pontremoli per l’archeologo e grecista Théodore Reinach – e fino alle più recenti sperimentazioni nella progettazione dei giardini in relazione all’evolversi delle tecniche di scavo stratigrafico, come evidenziato nella lettura di Luigi Gallo e Chiara Comegna.
Come pure essere oggetto di un sovrapporsi in crescendo di interpretazioni qual è il caso paradigmatico dei giardini islamici dell’Alhambra medioevale che José Tito Rojo sfoglia a ritroso, disvelando stereotipi e luoghi comuni, e purtuttavia insistendo su quanto esse finiscano in definitiva per esser parte integrante della storicità di quei luoghi. Esiti incrociati dell’immaginario dei viaggiatori romantici e già della pittura orientalista, tra fine Sette e inizio Ottocento, delle letture delle Mille e una notte, come, poi, innesco di ritorno di leggende sulla creazione dell’Alcázar che ispira sia composizioni di Debussy, poesie di Louis Aragon e opere teatrali, sia, nei mass media, film, fumetti eccetera.
O ancora, come nel caso dei giardini di ispirazione storicista della California meridionale a cavallo tra Otto e Novento indagati da Franco Panzini, farsi elemento per immaginare una nuova identità regionale e inventare in un ambiente semiarido una sorta di Mediterraneo americano sul Pacifico. Tra sviluppo della coltivazione degli agrumi, affermarsi del turismo di alta classe e dell’industria cinematografica – che spesso ai giardini si ispira – uno scanzonato eclettismo ibrida qui idiomi e stili per mano di una nuova generazione di paesaggisti.
Da un’iniziale combinazione di architetture e stili diversi che si ispirano da un lato alle missioni dei conventi francescani settecenteschi come ai revival Spanish di sapore coloniale e, dall’altro, a presunte tradizioni locali di uno stile indigeno della California meridionale, prevalgono invece con inizio Novecento giardini formali di impianto spagnolo-moresco, islamico o che, ancor più, si richiamano ai modelli italiani, specialmente del rinascimento. Un’onda lunga, fatta anche di riprese come poi negli anni settanta per il Getty museum, pensato con i suoi grandi giardini e ispirato alla Villa dei papiri di Ercolano.
Particolare attenzione merita la fortuna del giardino italiano, dove, tra rinascita di interesse per il tema delle grotte (Villa Borzino, in Liguria), riprogettazione di labirinti (Villa Pisani a Stra), giardini pensili (Palazzo ducale a Urbino) e ripristini in stile (Palazzo Piccolomini a Pienza), Vincenzo Cazzato ci conduce in un viaggio ideale tra quelli ispirati a riprese di modelli e temi del passato, sullo sfondo e a contrappunto degli assunti fissati nella Mostra del giardino italiano tenutasi a Firenze nel 1931, che nei dieci modelli in scala esposti nel salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, riunendo elementi da diversi giardini reali, intende proporre gli idealtipi delle dieci età del «nostro» giardino, da quello dei romani a quello romantico, riconducendo ciascuno a una dominante regionale.
Mentre nelle ricostruzioni delle varie fasi dell’andirivieni di reciproche influenze tra «giardino all’italiana» e «giardino all’inglese» Filippo Pizzoni invita a distinguere tra momenti propositivi, capaci di trasferire e far intendere valori e simboli anche in contesti diversi, e fasi in cui la stanca ripetizione di modelli ha perduto la capacità di comprenderne il sottotesto: dalle trasposizioni del gusto italiano nel definirsi del giardino naturale inglese, per serie di scene ed epigrafi, da parte del pittore, poi progettista, William Kent, al diffondersi a metà XIX dello stile, piuttosto superficialmente formale, dell’italianate garden, alle realizzazioni, con il primo Novecento, a opera di un’élite di inglesi in Italia, di giardini sospesi tra restauro e reinterpretazione.
Non mancano infine esempi di riletture del giardino storico nel progetto contemporaneo, come quello cinese indagato da Bianca Maria Rinaldi che, se al di fuori della Cina perlopiù divulga elementi e moduli consueti nelle forme note, in patria, a partire da questi, sperimenta nuovi codici espressivi. Come nel caso dei giardini classici ambientati a Pechino nel contesto dell’aeroporto internazionale di Daxing.

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