«E se io fossi me stessa (e tu fossi te stesso)? Non sarebbe forse bello, allegro e divertente?» Pochi dubbi in risposta a questa domanda che si presta a titolo dell’ultimo album in studio di Sinéad O’Connor, How About I Be Me (And You Be You)?. Lei ne è convintissima: «dopo essermi disprezzata, odiata e fatta del male penso che la cosa migliore che possa fare, come auguro a chiunque, sia di permettermi finalmente di essere me stessa. Stop a chi mi dice come devo essere, come devo comportarmi, sia come persona, sia quando sono sul palco. Pensandoci bene, forse questo titolo è ancora troppo gentile, poteva esserci un bel fuck you, gli altri possono andare a farsi fottere».
Decisa, certo, ma anche ironica la voce che portò il brano di Prince Nothing compares 2U nei cuori e altissima nelle classifiche delle hit negli anni novanta, trasformandola in una star assoluta. È tornata con un disco e un tour dal vivo e parla con tono pacato al telefono, raggiunta poche ore prima di salire sul palco come artista principale dell’acoustic stage del Glastonbury festival. Funny e happy, divertente e felice sono due termini che ritornano costantemente nei primi minuti dell’intervista, in cui Sinéad O’Connor pare totalmente uscita dalla tempesta dello scorso anno, dovuta a una brusca interruzione del terapia di trattamento del disturbo bipolare di cui soffre da tempo e che nel 2012 l’ha portata sull’orlo del suicidio. Ora il tour del suo How About I Be Me? uscito lo scorso anno le sta dando grande energia positiva: divertente è «l’idea di suonare in un festival con tanti musicisti diversi, lo trovo stimolante, ma adoro anche il rapporto stretto che si crea col pubblico in posti più piccoli», felice è «come mi sento in questo periodo: ho i miei quattro figli, sono innamorata e sono in giro per concerti», unica tappa italiana stasera al Festival di Villa Arconati al Castellazzo di Bollate nel milanese, in apertura del tradizionale festival che porta in cartellone fra gli altri De Gregori, Silvestri, Bregovic, Lanegan e la rivelazione Woodkid.

Divertente e felice sono parole con cui l’artista descrive chi è legato a questo disco «Frank, il mio ex marito, padre del mio ultimo figlio, lui è il ’lupo’ protagonista del pezzo The wolf is getting married, scritta come molte altre dell’album tra il 2009 e il 2010». E coinvolto nel cd è anche il cantautore americano John Grant: «Lui è un grande amico, davvero divertente. Queen of Denmark è una cover di un brano che dà il nome al suo primo album», mentre lui l’ha voluta ai cori del suo ultimo Pale green ghosts. Dopo qualche battuta ironica sulla stampa in cui invitava Grant, gay dichiarato, a essere etero per uscire con lei, Sinéad davanti alla notizia dell’apertura ai matrimoni omosessuali in California, non manca di fare riferimento a Gesù, «che non sarebbe stato così bigotto da sostenere il contrario, lui era per l’amore, in senso assoluto. Un bigotto invece è chi dice di amare Cristo, ma è contro l’amore». Molti dei pezzi inseriti nel nuovo lavoro della cantante irlandese, questo amore lo cantano proprio. Come i singoli 4th and wine sui preparativi al giorno del Sì di una ragazza e Old Lady, in cui Sinéad parla del tipo di uomo che vuole accanto, un tipo funny, appunto. Si percepisce positività fra i solchi dell’album: «è il lato splendido della musica, a volte mi ha aiutato in periodi duri e in altri è stata un’occasione per celebrare la mia gioia. È come se la musica aprisse la via a dei flussi di coscienza, succede così quando scrivo le canzoni, quasi sempre»

Ma Sinead sa essere dura, come quando i testi virano su vicende di stretta attualità. E qui ogni singola parola è «pensata, prima che sentita» e il riferimento va a Take off your shoes, un pezzo sull’ipocrisia della Chiesa e a V.I.P in cui Sinéad si rivolge ai musicisti che si sono montati la testa. In alcune bizzarre e brevi lettere pubblicate sul suo sito invece la cantante scrive a un celebre collega, Bob Dylan, un suo idolo insieme all’Elvis di Jailhouse Rock, a grandi del ritmo in levare come Desmond Dekker e Toots and the Maytals, a Lennon, una guida spiritualee, insieme a Van Morrison, il favorito di sempre. Tutti artisti che la cantante cita nel suo Musical Memoir, un work in progress su un viaggio musicale lungo una vita, la sua, ripercorsa partendo dai suoi giorni di bambina con i dischi di compositori classici come Boccherini, amato dal padre tanto quanto la musica tradizionale irlandese, che Sinéad riprenderà in Sean-Nos Nua, sua raccolta irish folk del 2002, mentre la passione per il ritmo in levare sarà la base Throw down your arms, un progetto di cover reggae del 2005.

A ispirare la cantante anche la spiritualità del soul americano, che celebrerà il 26 e 27 luglio al Lincoln Centre di New York con le Gospel Session, due concerti in cui proporrà una scaletta a tema. Da tempo l’artista voleva cimentarsi anche con generi come «gospel o altri tipi di musica religiosa o spirituale – scrive Sinéad nel suo diario del tour – Lee Perry dice che la musica è lo Spirito Santo. E se lo Spirito Santo è un uccello, allora è libero di volare e posarsi dove preferisce…».