Unico artista a vincere un Oscar (cinema), un Emmy (televisione) e un Tony (teatro) nello stesso anno, Bob Fosse è stata figura fra le più versatili dello spettacolo made in Usa. Un regista e coreografo che ha lasciato un impronta su Broadway quanto su Hollywood, plasmando un inconfondibile stile di musical e un’estetica che distillava un sex appeal stiloso, spavaldo e sgargiante, inconfondibilmente americano in opere come Chicago e Cabaret.
Con una vita segnata, come si dice, da «insaziabili appetiti» (per donne droghe e alcol) Fosse ebbe anche all’attivo una produzione cinematografica dai riflessi più scuri: da Lenny (la biopic su Lenny Bruce con Dustin Hoffman) a Star 80 (sull’assassinio di Dorothy Stratten, ventenne modella di Playboy). Una esistenza segnata anche dalla collaborazione artistica lunga una vita con l’amante/moglie/collaboratrice Gwen Verdon – il soggetto di All That Jazz la sua geniale meditazione autobiografica su vita morte e passione artistica con Roy Scheider al top della forma in veste alter ego.
La vita romantica e artistica condivisa con Verdon – fra le maggiori stelle di Broadway del suo tempo – fu travagliata da mille tradimenti e riconciliazioni ed è ora oggetto di una mini serie in otto episodi Fosse/Verdon prodotta da Fx e trasmessa in Italia su Fox Life (Sky, giovedì alle 21), basata sulla biografia pubblicata da Sam Wesson nel 2013. La serie ricostruisce il rapporto privato e artistico della coppia, e attraverso la ricreazione di molte opere coreografiche di Fosse è anche una sorta di antologia del musical un genere in pieno revival. La serie è scritta da Steven Levenson e diretta da Thomas Kail (già regista di Hamilton) e si avvale della consulenza della figlia unica di Fosse e Verdon: Nicole Fosse. Abbiamo incontrato gli interpreti, Sam Rockwell e Michelle Williams e Nicole Fosse.

Cosa conoscevate della vita di Fosse e Verdon e del loro rapporto?
(Sam Rockwell) Come molti anch’io credevo fosse un semplice regista, poi ho capito che era una vera icona del teatro musicale. E poi ho scoperto Gwen Verdon, e spero che questa serie possa in qualche modo correggere la dimenticanza storica su di lei e sul suo peso sul retaggio artistico di lui
(Michelle Williams) Lei era una donna molto «teatrale», aveva quel tipo di energia che riesce a riempire subito una stanza. Sapeva raccontare ed era una eccelsa drammaturga. Stare vicino a Gwen Verdon era una bella sensazione, faceva stare bene gli altri. Una figura squisitamente legata alla scena di Broadway, di quelle che riescono a fare otto rappresentazioni a settimana, sei giorni a settimana. Occorre davvero avere una resistenza fuori dal comune.

Quanto ha influito «All That Jazz» su questo progetto?

(S.R.) – All’inizio mi è sembrato ardito ripercorrere la stessa storia del film, poi sono entrato nel personaggio e ho compreso la sua genialità: Fosse si fa degli sconti e allo stesso tempo è molto duro con se stesso.
È stata utile la presenza di Nicole Fosse durante le riprese?
(S.R.) Molto e il suo non è stato un lavoro facile. Era sul set ogni giorno e noi abbiamo rappresentato suo padre con tutti i suoi difetti. E alcune delle cose che mostriamo non sono belle.
(Nicole Fosse) Quando si mettono assieme tutti i piccoli momenti di verità: lo sceneggiatore scrive, il regista dirige e gli attori creano i loro personaggi. Ecco quando tutti questi pezzi vengono messi assieme è così che prende forma una verità «drammaturgica». In All That Jazz, Roy Scheider ha una battuta tipo «non so dove inizia la fantasia e dove finisce la realtà»: personalmente credo di essere decisamente cresciuta in un mondo in cui le due cose si confondevano.

Cosa, secondo voi, ha caratterizzato il loro rapporto, sul set e nel privato?

(M.F.) Credo che se Bob e Gwen avessero potuto rimanere maestri in una scuola di danza sarebbero forse rimasti sposati per tutta la vita perché la loro connection artistica era completa. Lei era una grande ballerina ma non una coreografa. Aveva bisogno dei suoi passi, delle sue idee e lui aveva bisogno di qualcuno capace di tradurre in realtà le sue intuizioni. Quindi avevano una perfetta sinergia ed hanno tentato di costruire attorno a questo anche una vita e una famiglia, ma credo che forse questo era chiedere troppo.
(S.R.) Più che amanti – credo – penso fossero gemelli, quasi come fratello e sorella e in piena simbiosi. Avevano bisogno l’uno dell’altro.

I musical stanno vivendo una sorta di seconda giovinezza…

(M.W.) Adoro i musical. Amo portarci mia figlia, io stessa ho cominciato nel musical quando ero bambina e trovo che ci sia un’effervescenza unica in questa forma artistica. Quando lavori in un progetto così non bastano le parole per descriverlo. Per comprendere appieno la sua esuberanza deve essere cantato e ballato. In questa serie mi sono immersa completamente e proprio per questo sono felice per la rinascita del genere.