Sebbene l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Commissione Europea stimano una crescita per l’Italia dell’1,5% per 2017 e poco sopra l’1% per il 2018, comunque inferiore a quella indicata dal governo nazionale, c’è davvero poco di cui essere contenti.

Queste ultime proiezioni registrano un ritardo di struttura del Paese dalla media europea inaccettabile e, purtroppo, persistente. Padoan e Gentiloni possono ben sostenere che l’Italia è ormai uscita dal tunnel, ma in realtà è entrata in una spirale pericolosa. Infatti, il Pil del Paese non solo è più basso dalla media europea, ma la distanza dall’Europa nel tempo si accentua.

Siamo passati da una minore crescita del Pil di 0,5 punti degli anni novanta, a una minore crescita di 0,7 punti di Pil negli anni duemila, raggiungendo 1 punto di Pil nel corso di questi ultimi anni. Con un ulteriore paradosso: quando l’economia internazionale decelerava, gli indicatori economici nazionali si avvicinavano alla media europea, mentre la distanza aumentava quando l’economia europea e mondiale cresceva. L’incapacità del Paese di misurarsi con i sistemi economici più avanzati è un nodo che pregiudica tutte le politiche di bilancio, previdenziale e di stato sociale.

Non dobbiamo farci ingannare dalle «buone» stime economiche per l’Italia del Fondo monetario internazionale e della Commissione Europea. La situazione del Paese è peggiorata diventando marginale nella crescita internazionale. Come giudicare o interpretare la stima di crescita europea del 2,4% e la striminzita crescita dell’Italia dell’1,5% per il 2017?

Se avessimo un governo serio questo interrogativo sarebbe al centro del dibattito e della discussione politica. Infatti, oggi l’Italia è più lontana dall’Europa non tanto e non solo per colpa dello sciagurato Fiscal Compact, che comunque scade a fine anno, piuttosto per una struttura produttiva e dei servizi che sono lontani anni luce da quelli medi europei. Dal 1995 ad oggi l’Italia ha perso per strada quasi 30 punti di Pil rispetto alla media europea.

Per memoria ricordo che un punto di Pil vale quasi 18 miliardi. Se avessimo adottato delle politiche pubbliche coerenti, una buona politica industriale, sviluppato un dignitoso stato sociale, oggi il Paese non si troverebbe in questa assai penosa situazione.

Quello che emerge da questi rapporti è:

  1. la persistente minore crescita dell’Italia rispetto alla media europea;
  2. l’ampliamento nel tempo di questo gap di crescita e
  3. l’ampliamento di questo gap ogni qualvolta riparta la crescita economica.

Forse il Fondo monetario internazionale e la Commissione Europea sbagliano l’obbiettivo quando sollecitano il rientro dal debito per Belgio, Francia, Italia, Portogallo, Spagna e Regno Unito.

Dovrebbero occuparsi d’altro e chiedere delle riforme di struttura, cioè cambiare il motore della macchina senza fermarla (come ammoniva il leader della sinistra socialista Riccardo Lombardi).

Occorre fare un altro appunto, in questo caso a Fondo monetario internazionale e Commissione Europea:
l’Italia ha qualche problema con i Npl (i crediti deteriorati), ma prima o poi possiamo discutere dei danni infiniti che alcune banche tedesche e francesi hanno fatto e continuano a fare con i derivati?

Quando sentiamo certi commenti sulla crescita del Pil e sul sistema finanziario dobbiamo almeno chiedere misura e, magari, un minimo di capacità critica.