Di fronte al film comico di gag e stravaganze che si proietta via via dai verbali del giurì delle primarie in Liguria (per dire: la settantina di turchi ai gazebo di Imperia, le foto scattate alle schede, la valanga di voti ad Albenga, 1500 di cui 1200 alla candidata burlandiana, il presidente della comunità musulmana che accusa di razzismo chi riferisce di file di giovani marocchini) il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini ieri è corso ai ripari impartendo dal Tg1 quella che nei prossimi giorni sarà la linea ufficiale del Nazareno: «Se ci sono state situazioni non corrette saranno sanzionate, ma va sottolineata la grande partecipazione». «Se emergeranno irregolarità, quei seggi saranno annullati», rassicura il presidente Matteo Orfini. Ma stavolta il Pd non si farà trascinare nel caos: a differenza del voto emiliano di novembre, a questo giro almeno l’affluenza è stata buona.

Ma il caso ligure resta lo stesso amaro: con la vittoriosa Lella Paita erede del burlandismo che imbarca frotte di elettori del centrodestra e suggella da subito e senza patti (o per lo meno senza patti conosciuti) l’alleanza con l’Ncd; mentre lo sconfitto Cofferati non accetta il risultato. C’è di meglio: ora molti i suoi mollano la coalizione: meditano di farlo i civatiani, che avevano sostenuto l’ex leader della Cgil in nome della ricomposizione a sinistra; lo hanno già annunciato i vendoliani, che appoggiavano Cofferati ma (non a caso) non avevano firmato il patto di alleanza con il Pd. Per Sel la corsa a fianco dei democratici finisce qua, sentenzia il coordinatore Nicola Fratoianni: «Con la candidatura di Cofferati abbiamo provato a costruire in Liguria un centrosinistra capace di guardare con attenzione al territorio, ai diritti, al lavoro. Con la vittoria di Paita questa prospettiva non c’è più». C’entrano le irregolarità ma fino a un certo punto: «L’inquinamento che ci interessa è innanzitutto quello politico. Gli accordi, espliciti o meno, con ampi settori del centrodestra e le dichiarazioni della ministra Pinotti sulla necessità di imbarcare Ncd sul modello nazionale sono la questione decisiva. Non parteciperemo a quest’operazione e lavoreremo a una prospettiva diversa. A sinistra».
Il caso ligure, ultimo in ordine di tempo, è il sigillo definitivo su un’epoca, quella delle primarie di centrosinistra, volute da Prodi nel 2005 e importate da Veltroni nel 2007 come pietra angolare del nuovo partito. Il paradosso è che succede proprio quando sulla tolda del Pd c’è Renzi, la cui stella è nata (e solo poteva nascere) sbaragliando i suoi rivali e il partito proprio nei gazebo. Ma paradosso non è: con Renzi la coalizione al governo nazionale non c’è più e ormai tende a consumarsi anche nelle regioni, fin qui baluardo frontista. E senza un ventaglio di forze, «senza innovazione politica e culturale» per dirla con le parole con cui ieri Guglielmo Epifani ha annunciato un cambio di verso della sua area sulle primarie campane, «le primarie si trasformano, inevitabilmente, in una inutile e dannosa rissa interna che invece di ricostruire una rete democratica di partecipazione genera delusione verso il perpetuarsi di vecchissime pratiche».

Infatti anche in Campania le primarie marciano verso la resa. Lì già nel 2011 il disastro dei brogli e del conseguente annullamento ha messo il Pd (e il centrosinistra) fuori gioco a Napoli tirando la volata a De Magistris. Oggi, dopo che i gazebo sono stati rimandati due volte, è in corso un braccio di ferro: i renziani in nome del rinnovamento vorrebbero sbarazzarsi dei due big in corsa, Cozzolino e De Luca, e imporre il candidato unico Gennaro Migliore, ex vendoliano convertito al renzismo. E magari per questa via rispondere poi al disperato corteggiamento dell’Ncd locale. Nelle Marche, altra regione interessata al voto di primavera, le cose non vanno meglio. Le primarie potrebbero essere cancellate per evitare lo scontro interno con il governatore uscente Spacca.

Se la coalizione non c’è più le primarie restano solo del Pd. E se il Pd si trasforma nel partito delle correnti in franchising (copyright del civatiano Walter Tocci), oggi per la gran parte ricollocate all’ombra della leadership di Matteo Renzi, il rischio del broglio e della figuraccia reale (e mediatica) è dietro l’angolo. Di fronte a un cambio di natura di queste dimensioni, a poco servono i ritocchi che sta preparando la commissione del Nazareno. Molto, molto meglio evitarle.