Il mese di agosto è un periodo in cui in Giappone ogni anno si intrecciano memorie e problematiche legate al secondo conflitto mondiale. Le due bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto ’45, la fine della guerra del Pacifico e del periodo dell’imperialismo nipponico, e non ultimo il periodo in cui si onorano i defunti ed il ritorno delle loro anime. I film proiettati nelle sale e una fetta della programmazione della tv giapponese riflettono inevitabilmente queste tematiche così significative ed ancora vive nel tessuto del presente del Sol Levante. Il fatto inoltre che l’attuale governo guidato da Shinzo Abe sia espressione di una destra aggressiva e propensa ad usare una narrazione tossica rispetto al passato bellico della nazione, rende molto più attuali molti dei problemi sollevati ed affrontati in alcuni di questi film proiettati nelle sale.

Attualmente è nelle sale giapponesi il documentario Boy Soldiers: The Secret War in Okinawa, un lavoro diretto da Chie Mikami e Hanayo Oya, che esplora un lato poco conosciuto della battaglia di Okinawa. Tra aprile e giugno del 1945 si svolse sull’isola una cruenta battaglia dove persero la vita più di 200 mila persone, fra militari giapponesi ed americani, ma anche fra la popolazione del luogo.

Spesso i racconti di queste vicende si focalizzano sugli atti di eroismo di molti civili, ma le due registe si soffermano con il loro lavoro su un gruppo di giovanissimi abitanti dell’isola, fra 14 e 17 anni, chiamati Gokyotai. Oltre ad aiutare l’esercito imperiale, questi ragazzini furono impiegati anche per localizzare ed eliminare potenziali spie ed uccidere soldati malati o feriti, oramai non più «utili» alla causa. La brutalità delle storie narrate e illustrate attraverso materiale fotografico e attraverso alcune testimonianze di sopravvissuti, forma un lucidissimo e spietato quadro della violenza che ogni tipo di guerra genera e porta con sé.

Ancora in alcune sale del Sol Levante, dopo quasi 640 giorni dal suo debutto, è In questo angolo di mondo, lungometraggio animato che racconta la tragedia della guerra e dell’atomica sganciata su Nagasaki dal punto di vista di Suzu, ragazza ingenua e impacciata ma dall’animo sognante. Il film, di cui avevamo scritto tempo fa su queste pagine, rimane un pugno nello stomaco fortissimo e nella sua descrizione unica dell’orrore della guerra è uno dei migliori lavori mai realizzati sul tema. Il suo successo straordinario porterà all’uscita nelle sale di una nuova versione, più lunga di trenta minuti, originariamente tagliati, il prossimo dicembre, con il titolo (In ancora molti più) angoli del mondo.

Ritorna in alcune sale dell’arcipelago, come successo da quattro estati a questa parte, anche Fires on the Plain, l’adattamento di Shin’ya Tsukamoto, regista che sarà in competizione a Venezia con il suo nuovo film, dell’omonimo romanzo di Shohei Ooka: una delle descrizioni più sconvolgenti del carnaio, del terrore assoluto e della follia allucinata della guerra.

Tutte queste opere, pur nella loro assolutà diversità d’intenti e di stile, portano avanti una battaglia comune, spronano cioè lo spettatore cioè a un risveglio e a una visione attenta e lucida degli eventi bellici e di tutto ciò che si forma attorno ad essi. Non c’è spazio per il sentimentalismo dell’«eroe di guerra» e per il corollario che rappresenta i militari e la popolazione giapponese solamente come vittime, descrizione che spesso prevale nella produzione audiovisuale ad ampio consumo giapponese. In questo senso si tratta allora anche di un’importantissima resistenza, piccola e fatta attraverso l’arte, ma pur sempre resistenza, contro l’appropriazione e la riscrittura del passato.

matteo.boscarol@gmail.com