Dopo quattro giorni di conteggio dei voti, venerdì 25 gennaio è stato ufficializzato l’esito del referendum tenutosi nell’arcipelago del Mindanao, Filippine meridionali, circa la creazione di una nuova regione autonoma denominata Bangsamoro (nazione dei moro, nomignolo di epoca coloniale adottato dalle comunità tribali autoctone musulmane del Mindanao).

I voti favorevoli al nuovo assetto amministrativo, che sostituirà la precedente regione autonoma del Mindanao musulmano (Armm) piagata da corruzione e autonomia limitata, sono stati più di 1,7 milioni, contro poco più di 250mila contrari, sancendo un passaggio storico per un territorio da decenni teatro di conflitti tra miliziani musulmani e forze dell’ordine di Manila e, tutt’ora, una delle regioni più povere dell’arcipelago filippino.

Secondo gli accordi sanciti prima del referendum con il governo centrale presieduto da Rodrigo Duterte – originario del Mindanao – il principale gruppo armato locale, il Moro Islamic Liberation Front (Milf), ha già iniziato a deporre le armi, primo passo per una transizione dalla lotta armata alla gestione politico amministrativa di un’area sistematicamente depredata in passato da politiche economiche estrattive mantenute dall’occupazione spagnola del diciassettesimo secolo fino alla storia recente delle Filippine indipendenti.

Con la creazione del Bangsamoro, le province di Sulu, Lanao del Sur, Tawi-Tawi, Basilan e Maguindanao, oltre alla città di Cotabato, cadranno sotto l’amministrazione autonoma della classe dirigente che emergerà dalle prime elezioni locali, previste per il 2022. Il periodo di transizione sarà gestito da un organo amministrativo ad hoc nominato dal presidente Duterte: composto da ottanta membri, quarantuno saranno indicati direttamente dai vertici del Milf.

Il Bangsamoro riceverà 950 milioni di dollari in dieci anni per implementare politiche di sviluppo economico e infrastrutturale nella regione, oltre a trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio. Manila, secondo gli accordi, manterrà la gestione di sicurezza, difesa, esteri e politica monetaria. Tutto il resto, sarà gestito da un esecutivo autoctono che, secondo i sostenitori del Bangsamoro, dovrebbe riuscire a garantire più efficacemente sia la redistribuzione della ricchezza generata da un territorio molto fertile e ricco di materie prime, sia le operazioni antiterrorismo contro le diverse sigle dell’estremismo islamico attive nel Mindanao.

Due anni fa, la città di Marawi fu occupata da militanti di due gruppi islamici «fedeli» all’Isis, Abu Sayyaf e i fratelli Maute. L’antiterrorismo di Manila, assieme ai contingenti del Milf, riuscì a liberare la città dopo oltre cinque mesi di assedio, durante i quali Duterte impose in tutto l’arcipelago la legge marziale. Al momento, la legge marziale è stata rinnovata fino alla fine del 2019.

A dimostrazione della difficoltà di una concreta pacificazione dell’arcipelago, domenica 27 gennaio una cattedrale cattolica nella città di Jolo, provincia del Sulu, è stata colpita da un attacco terroristico, a soli due giorni dalla ratificazione del Bangsamoro. Due bombe esplose all’interno della chiesa hanno ucciso venti persone, ferendone altre settanta.

L’attentato è stato rivendicato da Isis, mentre le indagini per determinare quale cellula islamica sia responsabile sono ancora in corso.

Significativamente, le bombe sono esplose nella provincia di Sulu, dove la presenza del Milf è storicamente più debole, mentre in crescita è quella di sigle come Abu Sayyaf. Anche per questo, Sulu è stata l’unica provincia già appartenente alla precedente amministrazione autonoma del Mindanao musulmano a non votare a maggioranza per la creazione del Bangsamoro.