Il governo accelera sul ddl Femminicidi: l’intenzione è approvarlo in via definitiva il 25 novembre in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Il testo prevede l’inasprimento di misure di prevenzione come il braccialetto elettronico, la distanza minima di avvicinamento, l’arresto in flagranza differita, partendo dalla valutazione dei cosiddetti reati spia. I tempi per la valutazione del rischio ridotti per permettere interventi che scongiurino minacce e violenze, allontanamento urgente dalla casa familiare anche fuori dalla flagranza. «Sono prevalentemente misure acceleratorie, il nodo è che tutte le misure adottate dopo il 2013 sono a bilancio invariato» spiega Ilaria Boiano, componente dell’ufficio legale dell’associazione Differenza Donna di Roma.

È possibile avere interventi efficaci senza fondi?
Il cosiddetto Codice rosso dà un impulso di rapidità stabilendo che il Pubblico ministero entro tre giorni deve ascoltare la persona offesa con una trattazione prioritaria. Senza risorse non ce la fanno né a rispettare i tempi né a procedere con le misure necessarie. Adesso stabiliamo che i braccialetti elettronici possono essere applicati a più largo raggio ma non c’è una disponibilità adeguata. La possibilità di avere una difesa esperta passa dal finanziamento del gratuito patrocinio che invece ha bassissimi fondi. Un problema che mina il diritto di difesa, considerato che tutte le donne a prescindere dal reddito avrebbero il diritto di accedervi.

Il governo vuole fare del ddl una bandiera.
La Cassazione a Sezioni Unite nel 2016 ha specificato che il legislatore è vincolato a tutti gli obblighi internazionali di diritto dell’Ue. Siamo in un sistema multilivello, il legislatore (non solo questo governo) spesso utilizza i casi di cronaca per fare propaganda, in realtà ogni pacchetto è stato funzionale a recepire norme che, a volte, erano rimaste nel cassetto. Dal 2013 in poi abbiamo interventi introdotti per adeguare l’ordinamento alle direttive, dalla Convenzione di Istanbul alla direttiva Vittime del 2012 che abbiamo attuato nel 2014, un pezzo nel 2015, un pezzo nel 2016. Questo è un problema e infatti le Sezioni Unite parlano di un «arcipelago legislativo», tante piccole isole. Ciò che occorre ora è consentire il consolidamento di uno sguardo di insieme, di una cultura e consapevolezza giuridica delle norme introdotte e del cambiamento che ne deve conseguire.

Non ci sentiamo più sicure nonostante le pene più severe.
Si fa fatica a credere alle donne, che dopo la querela vengono sentite più volte e dunque dalla denuncia passa troppo tempo fino all’applicazione dell’allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento, misure adottate in modo disomogeneo sul territorio. Durante il dibattimento è ancora diffusa una cornice di lettura che giustifica e minimizza i comportamenti violenti ed espone le donne a vittimizzazione secondaria da parte delle stesse autorità. La specializzazione delle procure e dei tribunali è a macchia di leopardo e, in generale, ancora prevalgono pregiudizi nei confronti delle donne che denunciano, così abbassando l’efficacia delle disposizioni normative. Più della metà delle denunce per maltrattamenti e atti persecutori sono archiviate, come documenta l’Istat e conferma l’esperienza delle donne accolte dalla nostra associazione: questo ci parla della difficoltà a riconoscere la questione sociale della violenza, occultata come problemi relazionali o «amore malato».

Cos’altro non funziona?
Abbiamo il grande problema dei percorsi di recupero per gli uomini violenti e degli istituti di giustizia riparativa: se in astratto sono misure coerenti con le politiche sistemiche di prevenzione e di cambiamento promosse dagli atti internazionali, in concreto possono esporre le donne a vittimizzazione secondaria e fanno entrare dalla finestra la mediazione che per la violenza di genere nei confronti delle donne è da escludersi.

Secondo Action aid il governo ha tagliato del 70% i fondi per la prevenzione della violenza di genere.
L’aspetto penale è un pezzo di un contesto più ampio che include questioni di politica pubblica e sociale. Bisogna superare la logica individualistica, vittima e assassino non sono due monadi isolate ma c’è alla base la disuguaglianza di potere. Il diritto è uno strumento ma puoi non attivarlo perché magari non sai come fare oppure hai paura o non vuoi affrontare la vittimizzazione secondaria. Abbiamo un’importante tradizione di centri antiviolenza femministi ma quanti hanno le risorse per garantire la continuità del servizio? quanti sono riconosciuti sul territorio? Sono necessari per affrontare la questione dal punto di vista sociale e politico, agiscono come antenne della discriminazione e promuovono il cambiamento.