È stata Hilal Elver, ex relatrice speciale delle Nazioni unite per il diritto all’alimentazione, a sintetizzare due visioni opposte intervenendo online durante i lavori del pre-Vertice Onu sui sistemi alimentari: «Da un lato, i parametri del capitalismo e del modello economicista, un approccio ristretto, business as usual, basato sul mercato, guidato dal profitto, dalla ricerca di maggiori rendimenti, consumatore di energie fossili, dominato dagli oligopoli, con soluzioni tecnologiche high tech nel contesto dell’agricoltura industriale. L’altro è il modello che affronta questioni fondamentali di equità, responsabilità, governance democratica. Centrato sui diritti umani, dà priorità a chi produce cibo e non ne mangia abbastanza, sostiene i sistemi locali e i processi decisionali dalla base, promuove la conoscenza indigena e la sovranità alimentare».

In vista del Vertice di settembre a New York, la trasformazione del modo attuale di produrre, commerciare, consumare (e sprecare) cibo è ormai al centro dell’arena internazionale. In oltre cento paesi il processo preparatorio iniziato nel 2019 per volontà del segretario generale delle Nazioni unite ha promosso forme di «dialogo inclusivo» intorno a cinque piste d’azione: cibo sano per tutti, modelli di consumo sostenibile, forme di produzione «positive per la natura», passi avanti verso l’equità, costruzione della resilienza anche di fronte agli eventi estremi.

Chiudendo il pre-Vertice al quale hanno partecipato oltre cento paesi, sessanta ministri, centinaia di delegati in presenza e migliaia da remoto, in un modalità «ibrida» che imponeva tempi scanditi e interventi felicemente brevi – con intervalli continui per la sanificazione – la vice segretaria dell’Onu Amina Mohamed ha detto: «Lascio Roma con molta speranza. Dopo la crisi del Covid, i sistemi alimentari sono una priorità su cui investire. E l’Africa ha già annunciato una strategia comune per il continente». E ha annunciato nuove coalizioni globali che devono sempre «includere coloro che sono al centro dei nostri sistemi alimentari: i piccoli agricoltori, i popoli indigeni e soprattutto le donne e i giovani».

Il ministro degli esteri italiano, Luigi Di Maio, ha richiamato il «dialogo nazionale in corso in Italia con la partecipazione del governo, del settore agricolo, dell’agroindustria e della società civile» evocando poi l’importanza dei sistemi alimentari locali… «a completare quelli globali».

L’ultima giornata del pre-Vertice ha visto susseguirsi nella plenaria una carrellata di protagonisti. Il sito annunciava anche la presenza di «voci critiche – il contro-vertice» – riferendosi alla piattaforma di organizzazioni contadine, indigene, ambientaliste, di ricerca e della società civile che hanno preferito tenere una contro-mobilitazione parallela su vari giorni, il Food Summits for people (si veda la lettera) ritenendo preponderante nella governance globale il ruolo delle imprese e di fondazioni miliardarie.

Nella plenaria del pre-Vertice, Aili Kestikalo, del popolo Sami, in Scandinavia, con la sua aria mite ha detto: «È un punto di svolta; ma attenzione, le popolazioni autoctone, che tutelano il 20% delle terre del pianeta, con l’80% della biodiversità, hanno bisogno di uno spazio di primo piano». Hanno chiesto un ruolo più centrale anche i giovani. E Jeminah Njuki, che nel processo del Vertice si è impegnata sulla tematica delle donne, ha detto che se non si superano le disparità nei ruoli decisionali quanto nell’accesso al credito e alle risorse, «si pretende di volare con un’ala sola e si cade».

La rappresentante di una rete per le donne rurali giamaicane ha chiesto per i piccoli produttori di cibo «meccanismi di credito e finanziamento appropriati, vitali» e «una redistribuzione lungo le filiere: nei mercati i contadini non devono semplicemente sopravvivere».

Le tavole rotonde (virtuali) dei ministri hanno definito i percorsi nazionali per affrontare i vari aspetti dei sistemi alimentari. L’Unione europea, nelle parole del commissario all’agricoltura, è paladina «della transizione verso un pianeta salubre e un mondo digitale», dell’impegno «per il cibo sano, sufficiente, nutriente e con impatto neutrale o positivo sulla natura» e «per un settore agricolo vantaggioso per agricoltori, consumatori e ambiente». Ma essendo anche un gigante mondiale dell’agroalimentare, promette di rendere decenti le proprie attività e acquisti anche in giro per il mondo.

Clarisse Sayo, vice-ministra centrafricana, ha ricordato chi è in guerra: «Crisi militari e politiche a ripetizione ci hanno impedito a lungo di avanzare nella lotta contro l’insicurezza alimentare, che uccide ben più del Covid». E molti altri paesi, come quelli africani e le isole del Pacifico (entrambe le aree molto presenti), devono affrontare le peggiori conseguenze dell’aumento delle temperature globali di cui non sono responsabili.