Era dall’autoproclamazione di Juan Guaidó a presidente ad interim, ormai più di 3 mesi fa, che la base chavista chiedeva di mettere un argine all’impunità di cui hanno finora goduto il presidente dell’Assemblea nazionale e i suoi compari. In quale paese – ci si interrogava – verrebbe consentita una violazione dell’ordine costituzionale altrettanto clamorosa?

ANCHE IL VICEMINISTRO della Comunicazione e dell’informazione William Castillo spiegava come «in nome della pace» fossero state fatte «concessioni politiche a cui nessun governo si sarebbe mai piegato». Ma, aveva avvisato, «esistono limiti che non possono essere oltrepassati». E con il tentativo di golpe del 30 aprile scorso l’opposizione questi limiti li ha abbondantemente superati.

Così è arrivato l’arresto del primo vicepresidente dell’Assemblea nazionale Edgar Zambrano, il più in vista fra i sette deputati a cui l’Assemblea nazionale costituente, su richiesta del Tribunale supremo di giustizia, aveva revocato il 7 maggio l’immunità parlamentare con l’accusa di aver preso parte al fallito colpo di Stato.

Il giorno successivo, funzionari del Sebin, il servizio di intelligence bolivariano, hanno sorpreso Zambrano mentre si trovava all’interno di un veicolo nei pressi della sede del partito Acción Democrática. E, al suo rifiuto di scendere dall’automobile, hanno optato per una soluzione decisamente spettacolare: l’utilizzo di una gru per trasportare lui e il suo veicolo fino al carcere dell’Helicoide, come ha riferito lo stesso deputato in un tweet e come ha poi confermato il presidente dell’Assemblea nazionale costituente Diosdado Cabello.

«ALLERTIAMO IL POPOLO del Venezuela e la comunità internazionale che il regime ha sequestrato Edgar Zambrano» ha immediatamente twittato Guaidó, accusando Maduro di voler «disintegrare il potere che rappresenta tutti i venezuelani».

E puntuale è arrivata anche la reazione degli Stati uniti, che hanno definito «arbitrario», «illegale e imperdonabile» l’arresto del primo vicepresidente dell’An: «Se non sarà rilasciato subito – ha minacciato dal Dipartimento di Stato Usa – ci saranno conseguenze».

Ma che stavolta ai golpisti non verrà garantità l’impunità lo ha confermato anche la richiesta di rinvio a giudizio per altri tre parlamentari – Freddy Superlano, Sergio Vergara González e Juan Andrés Mejía -, tutti partecipanti attivi al golpe del 30 aprile. «Credono che non ci sarà giustizia, ma si sbagliano», ha detto Cabello.

E GIUSTIZIA CHIEDONO diversi movimenti popolari del Venezuela e anche di altri paesi (tra cui il Movimento dei senza terra del Brasile e il Consiglio consultivo dell’Osservatorio sui diritti umani dei popoli di cui fa parte anche il premio Nobel per la pace Pérez Esquivel), i quali, in un comunicato, sottolineano come, davanti agli occhi di tutti, parte della dirigenza dell’opposizione abbia «partecipato attivamente a un’azione che ha implicato l’uso di armi da guerra insieme a un invito aperto all’insurrezione militare e alla sollevazione popolare violenta».

Cosicché, scrivono, «è imprescindibile», per la difesa della legalità e delle istituzioni, porre fine all’«assoluta impunità con cui stanno operando i principali leader della destra locale». Non farlo – concludono – «significherebbe mettere a repentaglio la pace».

NELL’OPPOSIZIONE peraltro, non tutti condividono tale strategia, come emerge da una lettera aperta firmata da 451 esponenti antichavisti, favorevoli a «una risoluzione dell’attuale conflitto pacifica, elettorale, democratica e sovrana», contro qualsiasi ingerenza indebita di governi stranieri e qualunque ricorso alla forza.