Quando iniziò a frequentare i circoli Lenin, nella bianca e conservatrice Faenza degli anni Sessanta, era ancora un sacerdote. Coltissimo e innamorato del Vangelo, capì subito che tradurre quel messaggio cristiano in pratica politica marxista non era solo una possibilità, ma un dovere, fino a diventare una missione di vita. Rocco Cerrato se n’è andato all’inizio di settembre, nella sua casa di Casalecchio di Reno, subito dopo aver compiuto 89 anni.

Da sacerdote seguiva come assistente spirituale il gruppo scout: e in quelle salite in montagna i ragazzi di allora vennero travolti dalla sua passione per Gesù e da quella altrettanto travolgente per la giustizia sociale, per un cambiamento della società che col ’68 pareva ineluttabile. I genitori di quei ragazzi lo temevano, come il professor John Keating de l’Attimo fuggente. Nel caso di Cerrato lo scandalo era la fede militante, pericolosamente rivoluzionaria, irrispettosa verso le convenzioni borghesi.
La chiesa non gradì e, dopo averlo ostracizzato, lo rimosse dall’incarico di insegnante di religione al liceo di Faenza.

La scelta di lasciare il sacerdozio fu sofferta, e si intrecciò con l’amore profondo che era nato con Marcella, sua moglie per cinquant’anni. Ma la sue fede è rimasta intatta fino alla fine, con l’impegno nei Cristiani per il socialismo e nelle comunità di base. Parallelamente, la militanza in Avanguardia operaia, e poi tra i fondatori di Democrazia Proletaria a Bologna, insieme all’allievo Marco Pezzi e ad Ugo Boghetta. «Eravamo radicali ma non dogmatici, Cerrato era uno dei nostri grandi vecchi, la sua libertà di pensiero ci aiutò molto a non fossilizzarci nel marxismo ortodosso, a guardare avanti. Ci aiutò a capire l’America latina, le lotte di liberazione in cui spesso l’elemento religioso aveva un ruolo centrale. In Dp la presenza cattolica è stata importante», ricorda Boghetta.

Dagli anni Settanta l’impegno come docente di storia contemporanea all’università di Urbino, con gli studi sulla storia del cristianesimo e, in particolare, sulla crisi modernista tra fine Ottocento e inizio Novecento. «Cerrato metteva in risalto il significato positivo dei momenti di crisi, delle rotture, che hanno consentito l’affiorare di posizioni autonome, radicali, preoccupate di testimoniare una maggiore aderenza agli insegnamenti evangelici», spiega Alfonso Botti, suo allievo e ora docente di storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia.

Gli anni dopo la Bolognina segnano l’adesione a Rifondazione, e la partecipazione ai movimenti per la pace, i suoi studi si allargano ai totalitarismi e alla Shoah, si fa strada l’impegno per il dialogo interreligioso. «Bisogna rendere sempre più evidente che la preghiera è gesto di comunione tra gli uomini di tutte le religioni e non esposizione della propria identità», scriveva Cerrato nel 2009. La sua presenza nella comunità di base di Bologna, sul colle di Gaibola, è proseguita fino alla fine. Come la lettura quotidiana del manifesto. Chi lo ha ascoltato leggere e interpretare il Vangelo, anche se ateo, non lo dimenticherà.