Il terzo rinvio, l’ultimo concesso dal giudice del tribunale di Milano Claudio Marangoni. La vertenza Ilva si trascina nella trattativa fra governo e Mittal. Ieri entrambe le parti – commissari ex Ilva e multinazionale indiana – hanno chiesto di avere più tempo, confidando nel riuscire a trovare un accordo entro fine febbraio per proseguire insieme. Diversamente il 6 marzo – «termine ultimo» – il procedimento sul recesso del contratto partirà.
Un ulteriore rinvio che preoccupa i sindacati anche per le indiscrezioni sui passi avanti nella trattativa. Il più eclatante sarebbe la possibilità per Mittal di uscire comunque a novembre prossimo pagando 500 milioni di penale. Una prospettiva che dimostra la poca credibilità dell’operazione. Una possibilità non smentita dagli avvocati di entrambe le parti. In più Mittal si sarebbe già chiamata fuori dalla nuova società – dal nome «Greenco» – che dovrebbe montare e gestire forni elettrici per il preridotto a Taranto.
Il nodo più difficile rimane quello dell’occupazione: Mittal aveva individuato 5 mila esuberi, il governo vuole scendere a 1.500, da riassorbire entro il 2023.
Molto «preoccupata per un’ulteriore fase di incertezza sulle prospettive del gruppo in Italia» si dice la Fiom che in una nota ricorda «i 2.331 lavoratori in cassa integrazione straordinaria (1.978 ex Ilva, 341 in Sanac e 12 in Taranto Energia) e i 1.273 in cassa integrazione ordinaria a Taranto, prorogata da giugno 2019» e chiede «che il Mise convochi i sindacati per conoscere l’effettivo stato della trattativa», dicendosi «non disponibile a gestire gli effetti di possibili accordi che mettano in discussione gli impegni e i vincoli occupazionali dell’accordo del 2018» e annunciando che «se il tavolo non sarà convocato nelle prossime ore, sarà necessario ricorrere alla mobilitazione generale del gruppo». Stessa richiesta di convocazione anche da parte di Fim e Uilm, mentre ieri Peacelink in una lettera al premier Conte ha denunciato «un peggioramento delle emissioni inquinanti negli ultimi tre mesi con un picco di benzene cancerogeno» e «il paradosso che Mittal vuole andare via e sta per spegnere gli impianti pericolosi, inquinanti ed economicamente fallimentari ma il governo la costringe a produrre, esponendo la popolazione a un rischio sanitario inaccettabile», annunciando una manifestazione il 26 febbraio a Taranto.