Nella direzione Pd abbiamo visto il solito Renzi, quasi come se nulla fosse accaduto. Le ragioni per lui, i torti per gli altri. Nessuna apertura alla minoranza interna, che anzi viene crocifissa sui cattivi risultati. Sulle riforme avanti, ne va della credibilità in Europa (ancora?). Per la scuola, che ha terremotato il paese, la graziosa offerta di ben 15 o 20 giorni di riflessione. Per pensare cosa?

Colpisce la mancanza di analisi del punto centrale. Emerge con evidenza dalle cifre elettorali e dai commenti post-voto il fallimento del disegno strategico di un partito della nazione volto ad essere la Dc del millennio. Si disvela finalmente il gioco di prestigio messo in piedi con le europee con l’ormai mitico 40% di voti sul 58% degli aventi diritto. Su quella base Renzi ha abilmente manovrato, sfruttando la forza parlamentare data da un premio elettorale incostituzionale e controllata tramite un partito scalato con le primarie. Ora, tutto frana per la dimostrata incapacità di inverare nei consensi reali l’egemonia fittizia così costruita per il Pd.

Renzi poteva scegliere come affrontare il tema. Non poteva ignorarlo, per l’evidente impatto proprio sulle sue riforme. Non crediamo che Renzi sia tanto sciocco da pensare davvero che il problema non esiste. Sarebbe come se Marchionne sapesse di costruire pessime auto, ma si convincesse del contrario guardando i propri spot in Tv.

Per questo è ingannevole la certificazione che esistono tre opposizioni, disegnate come incomponibili e inconcludenti: la destra, M5S, e Landini. Proprio il fallimento del disegno strategico del partito della nazione omologa il Pd a quelle forze. Il sistema politico si orienta verso un modello multipolare di soggetti sostanzialmente equivalenti. Un paese fatto di minoranze. Tra queste, il Pd è oggi una minoranza che deve difendere per quanto possibile il margine di seggi che ha in parlamento grazie a un sistema elettorale truccato (il Porcellum). Il nuovo sistema elettorale (l’Italicum), ancor più truccato, non garantisce il risultato. Dunque il problema di Renzi è come e dove trovare consensi nuovi, veri e duraturi.

È però interessante che includa tra le opposizioni Landini, che qualifica senza appello come perdente. Viene il sospetto che lo ritenga pericoloso. E avrebbe certo ragione, visto che per lui il punto non è se Landini sia o meno vincente, ma se possa contribuire alla sua sconfitta. Su questo, merita qualche considerazione l’assemblea della Coalizione sociale da ultimo tenuta.

Ampia partecipazione, entusiasmo, e molti giovani. Questi sono gli elementi positivi che colpiscono l’attenzione. Suggeriscono un appeal e un potenziale di crescita importanti. Sussurri di corridoio dicono che potrebbero valere un consenso elettorale a due cifre. Se così fosse, per il Pd minoranza tra minoranze potrebbero essere indispensabili una strategia coalizionale e un radicale cambio di rotta.

Ma l’entusiasmo e lo spontaneismo volontaristico vanno bene per uno stato nascente, e per un tempo limitato. Se durano troppo a lungo, sono destinati ad affievolirsi progressivamente, e a dissolversi. Quindi la Coalizione sociale deve presto procedere a una nuova fase. Due sono i passaggi necessari: organizzazione, e gruppo dirigente. Landini ripete ancora che non vuole fare un partito, e ne capiamo le ragioni. Ma è indispensabile una forma, diversa quanto si vuole da un partito tradizionale, purché stabile e organizzata.

Ed è qui il vero problema. Per sua genesi la Coalizione sociale vede partecipare tanti soggetti diversi, gruppi, associazioni, persone singole. Quale modello organizzativo può tenerli insieme, in modo che tutti sentano di incidere, di partecipare alle scelte, e nessuno si senta emarginato, ingabbiato? Quale procedimento può consentire a una galassia di tanti frammenti sparsi di darsi una leadership da tutti riconosciuta, e che parli per tutti? I modelli che l’esperienza ci consegna non si mostrano utili. E anche l’ultimo esperimento – M5S – non sembra offrire elementi.

C’è una riflessione in corso, speriamo rapida.

Se la Coalizione sociale non vuole essere solo un simpatico happening, dovrà scendere in campo in un turno elettorale. Probabilmente non sopravvivrebbe se mancasse le prossime politiche. Né certo sopravvivrebbe come supporto a Landini per una sua personale strategia limitata al sindacato. Ma alle battaglie elettorali non si partecipa in ordine sparso. E i tempi della prossima competizione sono anzitutto in mano al premier.

Infine, un’osservazione sul senato.

Pare che ora basterebbe a Renzi un senato che non desse la fiducia, e non si riunisse tutti i giorni. Se è un apertura su un recupero dell’elezione diretta, ben venga. Molti gufi hanno fino alla noia sostenuto che si poteva superare il bicameralismo paritario mantenendo il carattere elettivo. Non vorremmo però alla fine sentire che purtroppo non c’è più nulla da fare, perché sul senato non elettivo c’è la doppia lettura conforme delle due camere. Per bontà d’animo, gli vogliamo suggerire di verificare la via dello stralcio. Si potrebbero in tal modo espungere le norme che costruiscono un’assemblea imbottita dei peggiori cascami che la politica italiana esprime, e procedere con il resto. Forse è una forzatura del regolamento. Ma è di certo minore, e molto meno pericolosa come precedente, di quanto abbiamo già visto succedere.