Una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu è stata convocata ieri sera su richiesta degli Stati Uniti per discutere dei sospetti attacchi, qualcuno dice con siluri, a due navi, una norvegese e una giapponese. Attacchi avvenuti ieri alle prime luci del giorno nel Golfo di Oman a sud dello Stretto di Hormuz, dove ogni giorno transitano milioni di barili di petrolio, la cui origine non è stata determinata. Per Washington invece hanno già un responsabile, l’Iran. «Sono loro i responsabili, per colpire gli alleati degli Stati Uniti», ha detto il Segretario di stato Mike Pompeo. La stessa accusa fu mossa dall’Amministrazione Trump il 12 maggio dopo il sabotaggio di quattro navi, di cui tre petroliere, al largo degli Emirati. All’Onu, la scorsa settimana, Abu Dhabi ha presentato un rapporto sui fatti del mese scorso indicando in un non meglio precisato «attore statale» l’organizzatore dei sabotaggi. L’Unione europea intanto invita alla «massima moderazione e ad «evitare qualunque provocazione».

Da settimane la tensione si taglia fette nel Golfo dove gli Usa hanno inviato una squadra d’attacco guidata dalla portaerei Abraham Lincoln e bombardieri B-52. Alla ricerca di un pretesto, l’Amministrazione Usa attraverso il CdS dell’Onu punta ad accrescere la pressione sull’Iran, già duramente penalizzato dalle sanzioni economiche e politiche americane. E anche ad ottenere a un primo passaggio “legale” verso una possibile un’azione di forza. La Russia però ha gettato acqua sulle intenzioni bellicose degli statunitensi, invitando a «non arrivare a conclusioni affrettate». «Nessuno per ora ha informazioni sulle cause» degli incidenti alle due petroliere «e su cosa ci sia dietro» ha detto un portavoce del Cremlino. Cosa ci sia dietro se lo chiede anche il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif che ieri ha descritto come molto sospetta la coincidenza tra i sospetti attacchi e l’importante visita a Tehran del primo ministro giapponese Shinzo Abe, intenzionato a comprare il petrolio dall’Iran nonostante la minaccia delle sanzioni americane. Non è un particolare insignificante che sia giapponese una delle petroliere colpite ieri. Gli attacchi, ha fatto notare Zarif, sono avvenuti mentre il premier giapponese incontrava a Tehran il leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, che durante i colloqui ha respinto ogni ipotesi di negoziato con Trump e ribadito che l’Iran non intende dotarsi di armi atomiche. Abe a Tehran è andato con l’esplicito scopo di mediare dopo la decisione presa dal presidente americano di uscire dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano del 2015.

Cosa sia accaduto ieri non è poco chiaro. Le navi coinvolte sono la norvegese Front Altair, battente bandiera delle isole Marshall, che trasportava un carico di etanolo dal Qatar a Taiwan; e la Kokuka Courageous della società giapponese Kokuka Sangyo, battente bandiera di Panama, che trasportava metanolo da Singapore all’Arabia Saudita. Ad un certo punto hanno lanciato l’allarme per esplosioni a bordo che hanno messo in difficoltà soprattutto la Front Altair. La tv Al Arabiya ha trasmesso un filmato che mostra la nave in fiamme con uno squarcio situato a metà dello scafo. La Guardia costiera dell’Oman, attraverso un suo portavoce, ha parlato subito di un “attacco”. E poco dopo si sono diffuse voci di “siluri” lanciati contro le navi. Ma questa notizia, che in pochi attimi ha fatto il giro del mondo, non è stata confermata. Altri hanno riferito di un attacco con mine. Non è chiaro neanche chi abbia proceduto ai salvataggi: da una parte gli Usa, presenti con la V Flotta in Bahrain, dicono di avere dispiegato sul posto il cacciatorpediniere USS Bainbridge; dall’altra l’Iran sostiene di avere messo in salvo tutti i membri dei due equipaggi, in totale 44 persone.

Attacchi davvero misteriosi. Non si può escludere alcuna ipotesi. Se è possibile un coinvolgimento dell’Iran desideroso di dimostrare di poter bloccare la navigazione delle petroliere nel Golfo in risposta all’aggressività degli Usa, allo stesso tempo è arduo credere che Tehran sia tanto incauta da servire su di un piatto d’argento il casus belli che cercano l’Amministrazione Trump e le alleate Riyadh e Tel Aviv. Non si può escludere neppure un coinvolgimento di Arabia saudita e Israele volto a mettere all’angolo l’Iran. E naturalmente degli Stati uniti che negli ultimi 30 anni hanno creato ad arte le condizioni per scatenare guerre nel Golfo.