Dall’incontro tra il ministro dell’economia italiano Padoan e il vicepresidente della Commissione europea Dombrovskis non trapela nulla, bisogna accontentarsi delle dichiarazioni ufficiali. L’italiano assicura che «la Ue sta riconoscendo i nostri sforzi per la riduzione del debito», gioisce per lo «spirito di forte collaborazione». Il falco di Bruxelles, altrettanto cordiale, si confessa appagato dalla «discussione fruttuosa e importante» nella quale sono stati confermati alla lettera tutti gli impegni italiani «per rispettare il vincolo dello 0,2% di sforamento del patto di flessibilità». Insomma, entro il 30 aprile, forse prima, l’Italia varerà le misure per recuperare i famosi 3,4 mld.
Parola di Padoan? Non solo. In realtà Dombrovskis adopera una formula decisamente inusuale. Non parla infatti di impegno da parte del governo di Roma ma da parte di «tutti i ministri e dell’intero establishment». Parole che sembrano rinviare all’intervista con cui giovedì Renzi aveva di fatto delegittimato Padoan affermando che ogni sua decisione andrà sottoposta al vaglio del Pd, dei suoi parlamentari e in particolare dei suoi ministri. Difficile immaginare uno sgambetto più plateale alla vigilia di un colloquio importante.

È probabile che Dombrovskis ne abbia chiesto ragione a Padoan, chiedendogli se la sua parola impegna tutto l’esecutivo o solo se stesso. La risposta non poteva che essere una: rassicurante per il vicepresidente della Commissione, non altrettanto per l’ex premier. Nonostante le stentoree dichiarazioni formali sia di Renzi che del presidente Orfini la tensione tra Nazareno ed esecutivo continua evidentemente a crescere, sia pure sotto pelle. Probabilmente lo stesso Renzi sa perfettamente che alla resa dei conti la manovra di aprile dovrà puntare proprio su quelle voci che a suo parere andrebbero invece escluse, in base a considerazioni «non tecniche ma politiche», in particolare l’aumento delle accise sulla benzina. L’imboscata di ieri sembra dunque propedeutica più a tenere il governo sotto pressione che a evitare misure probabilmente inevitabili
All’interno dello stesso governo, inclusa la delegazione Pd, è in effetti convinzione diffusa che l’ex segretario, pur avendo dovuto sacrificare il sogno di votare prima dell’estate, non si sia affatto rassegnato ad aspettare il 2018 e che in ogni caso non abbia intenzione di permettere al governo di decollare. Le critiche alla manovra d’aprile, oltretutto, hanno un immediato ritorno propagandistico, data l’assoluta impopolarità di un eventuale aumento delle accise.
Dombrovskis e Padoan, però, non hanno parlato solo di quei 3,4 mld da trovarsi subito, che a conti fatti se non sono spicci poco ci manca. Il piatto forte era probabilmente un altro, cioè le misure che l’Italia secondo l’Europa deve prendere presto per fronteggiare le due emergenze strutturali: bassa crescita e debito. Dombrovskis ne ha parlato quasi apertamente, pur se con massima diplomazia: «La crescita dell’Italia è modesta. È molto importante rimanere in rotta rispetto alla traiettoria fiscale e di riforme».

Sul debito il lettone è molto più tiepido del ministro italiano: «È un elemento che sarà valutato attentamente per vedere la conformità dell’Italia: vedremo se la traiettoria per la riduzione del debito è quella giusta». Cerimoniali di rito a parte, l’esito del colloquio non è stato poi così tranquillizzante. L’Italia è un sorvegliato speciale, ha di fronte un’agenda tra le più difficili e dovrà affrontarla con un leader del partito di assoluta maggioranza che gioca a sgambettare invece che a sostenere.