L’Earth Day 2022 cade nel pieno di un annus horribilis per l’ambiente. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha parlato di una vera e propria guerra alla natura a cui è necessario porre fine. Tutta una questione di volontà, dice, visto che in passato siamo stati capaci di arginare il buco dell’ozono e intensificare la protezione di specie ed ecosistemi.

LA SITUAZIONE NON È AFFATTO incoraggiante: negli ultime mesi abbiamo bruciato una serie interminabile di record di tutti i tipi: raddoppiata la velocità di scioglimento dei ghiacciai degli ultimi 20 anni, raggiunta la temperatura più alta mai registrata, individuate microplastiche nel sangue umano, l’Amazzonia vicina al punto di non ritorno in termini di deforestazione ( + 22% rispetto all’anno precedente) il più che dimezzamento del regime delle precipitazioni in Europa, balzo in avanti, alla faccia degli obiettivi di riduzione da qui al 2030, nelle emissioni di gas climalteranti.

COME SE NON BASTASSE, ci sta pensando il conflitto in corso in Ucraina a mantenere alto il livello di emissioni, tra quelle dovute alle attività militari, quelle conseguenti alle esplosioni e quelle relative al ritorno al carbone che si prospetta in una situazione di precarietà energetica quale ci troviamo in questo momento. Senza contare gli effetti devastanti e permanenti in termini di inquinamento di aria, acqua e suolo che l’utilizzo di armi leggere e pesanti comporta, i costi ambientali della distruzione e ricostruzione, il trauma subito dagli ecosistemi naturali.

UN BELLO SFONDO PER LA FOTO ricordo delle celebrazioni della terra di quest’anno. Anche l’anno precedente non è stato da meno: mentre adesso scrutiamo il cielo in attesa ansiosa di qualche goccia di pioggia, la scorsa estate in Europa abbiamo assistito a un flusso di precipitazioni culminate il 14 luglio in una bomba d’acqua di 150 mm che ha devastato i bacini della Mosa e del Reno, mettendo in ginocchio intere regioni del Belgio e della Germania come se fossero il sud est Asiatico, e, di contro, settimane e settimane di incendi hanno arso il pianeta dall’Italia alla Turchia, dal Canada all’Australia. Un dramma ambientale fotografato impietosamente dal Copernicus Climate Change, il sistema di osservazione terrestre dell’Ue, i cui dati, satellitari e non, sono stati resi pubblici proprio in questi giorni: nell’estate 2021 l’Europa ha registrato temperature di un grado al di sopra della media di quelle registrate negli anni 1991-2020. Da quando esistono le statistiche, un caldo così non era mai stato registrato. E anche le precipitazioni, sono state le più intense dal 1991. Nel giro di qualche giorno, il bacino del Mediterraneo ha iniziato a subire prolungate ondate di calore. Di conseguenza in agosto in Italia, a Siracusa, e in Spagna si battevano i primati europei di temperatura.

SEMPRE QUELL’ANNO una primavera caratterizzata da gelo tardivo ha danneggiato i raccolti ma ha mantenuto le temperature annuali dell’aria vicine alla media degli ultimi 30 anni (+0,2 gradi). Al contrario, le temperature annuali della superficie del mare su parti del Baltico e nel Mediterraneo orientale sono state le più alte almeno dal 1993. Anche da queste condizioni sono scaturiti gli incendi, che sempre secondo i calcoli del Copernicus Climate Change Service, hanno mandato in fumo oltre 800mila ettari in Turchia, Grecia e Italia.

ANCHE LA PRODUZIONE energetica ha risentito delle bizze del clima. Irlanda, Danimarca, Regno Unito e Germania hanno visto alcune delle velocità del vento annuali più basse almeno dal 1979, che hanno portato a una riduzione del potenziale eolico e a un aumento della domanda di gas che proprio dall’estate scorsa ha iniziato a crescere.

COME SE NON BASTASSE, l’emergenza riguarda anche la salvaguardia delle specie e degli ecosistemi, con buona pace di Guterres. Ce lo dice il documento «Giornata mondiale della Terra 2022: un pianeta in bilico» a cura del Wwf, venuto a ricordarci che «il 75% della superficie terrestre non coperta da ghiaccio è già stata significativamente alterata, la maggior parte degli oceani è inquinata e più dell’85% delle zone umide è andata perduta». Si capisce perché il tasso di estinzione di specie animali e vegetali è 1.000 volte superiore a quello naturale. Colpa sopratutto del consumo di suolo, principalmente a scopo di coltivazione: l’agricoltura mondiale infatti consuma oggi il 40% della superficie terrestre, ed è responsabile del 23% delle emissioni di gas serra.

CHE FARE? Rinnovabili, rinnovabili, rinnovabili. In Italia non sanno più come dirlo Greenpeace, Wwf e Legambiente che – sulla falsariga di quanto suggerito anche da Elettricità Futura di Confindustria – chiedono al governo di autorizzare entro un anno 90 GW di nuovi impianti a fonti rinnovabili da realizzare entro il 2026 e approvare con urgenza un decreto sblocca rinnovabili per sostituire le centrali a gas costruite dopo il blackout nazionale del 2003 e per ridurre i consumi di gas di 36 miliardi di m3 all’anno entro il 2026.