La Catalogna affronta le elezioni del prossimo 21 dicembre con 422.462 disoccupati. Un tasso di disoccupazione del 12,54%, secondo gli ultimi dati pubblicati. Il 56% sono donne, perché sono le prime a pagare la crisi e ad essere allontanate dal mercato del lavoro, rispedite a casa a occuparsi dei lavori di cura. Proprio una bella grana per chi otterrà il consenso per governare la Generalitat. La lista Catalunya en Comu-Podem, dove sono confluiti Podemos, Izquierda-Unida, gli ecologisti di Equo e il movimento di Ada Colau, vuole strappare consenso per costruire nuove maggioranze, superare la politica dei blocchi contrapposti e poter governare. Senza svelare le possibili intese post-elettorali, presentano un programma che definisce le condizioni per eventuali accordi con Esquerra Republicana, con il partito socialista catalano o addirittura con gli indipendentisti della Cup.

L’idea è portare gli investimenti sociali del futuro parlamento catalano dall’attuale 21% del Pil a un 28%, rientrando nella media europea; tagliare i tanti benefici fiscali alle categorie privilegiate ossia invertire i tagli del governo di Artur Mas, poi consolidati dai bilanci dei successivi governi, per raggiungere una tassazione progressiva e progressista; aggredire la precarietà e la mancanza di lavoro con una terapia d’urto focalizzata sui giovani e sulle persone con più di 45 anni; raddoppiare gli investimenti nella scuola pubblica; recuperare i 1.500 milioni di euro tagliati alla sanità; censire gli appartamenti lasciati vuoti per incorporarne una parte nel patrimonio pubblico e soprattutto per puntare ad avere in ogni quartiere un 15% delle abitazioni destinate a fini sociali. Nel programma si parla anche di rivoluzione energetica rinnovabile, di un nuovo modello turistico e la creazione di un Dipartimento per l’Uguaglianza per definire un piano che affronti e metta in angolo la violenza sessista, il femminismo non solo a parole. Ecco i punti salienti del programma elettorale di els Comuns, come li chiamano in Catalogna. Sembra essere l’unica forza politica che vuole conquistare il voto di catalane e catalani con una proposta che non dimentica nessuna delle tre crisi – ambientale, sociale e territoriale – che dilaniano la Catalogna, ora che il conflitto territoriale con la Spagna di Rajoy ha oscurato tutti i problemi. Un programma con la forza sufficiente per riuscire innanzitutto a bloccare, politicamente e non con la repressione, il processo indipendentista, convincendo una parte dell’elettorato che si può decidere di rimanere in una Spagna plurinazionale con un referendum concordato.

Ma riuscirà Catalunya en comu-Podem a conquistare i ceti più poveri, quelli oppressi dalla crisi economica e dalla liquidazione dello stato sociale, finora sfiduciati e poco coinvolti nel conflitto territoriale? Otterrà il consenso necessario per convincere i socialisti, a cominciare da quelli catalani, ad abbandonare le destre e ridare corpo a un governo che indichi politiche di sinistra per tutta la Spagna, spostando l’attenzione dalla sola questione catalana proprio alle politiche sociali? La risposta si avrà all’apertura delle urne il 21 dicembre.

Fino ad ora i sondaggi e la capacità di mobilitazione dell’elettorato assegnano a els Comuns, un risultato modesto, al massimo una sostanziale conferma dell’altro mediocre risultato che la lista ottenne nelle precedenti elezioni autonome del 2015. Anche se nelle recenti elezioni generali sono stati il primo partito in Catalogna. Si sa, non basta avere un buon programma che parli direttamente delle condizioni materiali della gente, della sostenibilità ambientale, della giustizia sociale e che garantisca l’autodeterminazione, per conquistarne voti. Decisivo sarà convincere, nel finale di campagna elettorale, che questo è l’unico modo per uscire dal buco nero in cui la situazione catalana è da tempo immersa per responsabilità delle destre che governano la Spagna e degli indipendentisti che hanno amministrato la Catalogna.

Sui sondaggi non lusinghieri pesa la decisione dei socialisti spagnoli di schierarsi con Rajoy e appoggiare la repressione attivata con l’articolo 155. Pesa la divisione interna al Podemos catalano con una parte più propensa ad essere l’ala critica dello schieramento indipendentista, che non una parte del progetto che Ada Colau e il capolista Domènech hanno avviato organizzandosi come forza politica. Pesa infine la difficoltà di mobilitare non solo la Catalogna, ma la Spagna in generale, sull’idea di plurinazionalità.

In Catalogna c’è una maggioranza sociale che vuole avanzare, oltre la politica dei blocchi, che vuole uscire dalla monotematica territoriale in cui è stata confinata, che vuole trovare soluzioni che rispettino le diversità e che dettino l’agenda politica per chi sta soffrendo di più, la scommessa è riuscire a coinvolgerla.