«Sono una lettrice lenta perché voglio assaporare e ricordare ciò che leggo… Mi sono data come regola quella di leggere un grande libro ogni anno. L’anno scorso ho letto Casa desolata di Dickens… ne leggevo qualche pagina al giorno». Così parlava, nel lontano 1984, Edna O’Brien, probabilmente la più grande scrittrice a cui l’Irlanda abbia dato i natali, scomparsa il 28 luglio scorso. Ha lasciato dietro di sé un’eredità letteraria immensa, fatta di più di venti romanzi, alcune biografie e diverse sceneggiature. Le sue opere sono divenute spesso bestseller internazionali, e per forza e audacia narrative hanno attirato l’interesse di generazioni di critici e lettori.

Ascesa allo status di autrice cult dalla seconda metà del Novecento, confessava, in quell’intervista alla Paris Review, di mettere in pratica un nuovo tipo di lettura: una lettura attenta, lenta, una «lentura», avrebbe detto il suo autore modello, il conterraneo James Joyce, artista a cui indubbiamente la accomunano molte cose: dalla prodigalità alla facilità linguistica, dalla ferrea volontà di «dire tutto» senza lasciar fuori nulla, al diritto di scioccare, di urtare, di contrastare ogni forma di bigottismo.

PROPRIO A JOYCE la O’Brien aveva dedicato diversi scritti, tra cui un ultimo a carattere biografico uscito per il centenario dell’Ulisse. In questo, con pochissimi tratti di penna, fu capace di regalarci un ritratto al contempo spietato, amorevole e precisissimo del suo predecessore e della società in cui visse da giovane. Lo definì uomo «dai gusti dissipati e dalle contraddizioni madornali, terrorizzato dai cani e dai tuoni ma capace di incutere paura e soggezione in quanti s’imbattevano in lui; a trentanove anni avrebbe pianto per la grande famiglia che non aveva, eppure stava sempre lì a maledire quella società e quella Chiesa per cui proprio sua madre, come tante altre madri irlandesi, non era stata se non un vaso, rotto dalle gravidanze».

In queste parole si coglie l’essenza della scrittura di Edna O’Brien: una scrittura di rivolta, sferzante e appassionata, brillante e macabra. Tutti aspetti che la connotarono e che ancora ce la fanno ricordare come la vera grande scrittrice della nuova Irlanda. Nata nel profondo ovest dell’isola e cresciuta in un piccolo villaggio in cui la vita sociale si cibava di chiusure, silenzi e moralismo religioso, intravide da subito nella scrittura la possibilità di rompere tanti tabù. A partire da quelli legati alla sessualità. Trasferitasi a Londra, a trentun’anni pubblicò il primo romanzo, Ragazze di campagna, la storia, in parte autobiografica, di due giovani della campagna irlandese che passano dalla monotona e ottusa vita in convento alle libertà e alle mille possibilità offerte prima da Londra e poi da Dublino. Assieme ai due romanzi successivi, La ragazza sola (o più tardi La ragazza dagli occhi verdi) e Ragazze nella felicità coniugale, forma una trilogia che fu giudicata agli inizi tanto controversa da incorrere nella censura governativa.

È proprio da qui, da questa messa al bando che nacque il mito di Edna O’Brien: dalla volontà di sfidare e mai sottomettersi al potere costituito, con la sua forza di irretire l’individuo dal punto di vista sociale, religioso e politico, o intervenendo a gamba tesa nella sfera sessuale.

SCRITTRICE RAFFINATA e coraggiosa, fu tanto amata quanto invidiata nel suo paese, e non fece mai mistero del proprio rapporto ambivalente con l’Irlanda, una terra che sa accoglierti quando sei famoso, ma sa ancor meglio pugnalarti non appena le volti le spalle. Eppure, malgrado la lontananza dal proprio paese di provenienza, non mancò mai di affondare il bisturi della sua arte nel cuore pulsante dell’inconscio del suo paese.

È quel che avvenne, ad esempio, con il romanzo In the Forest del 2002, nel quale rifletté con lucida amarezza su un fatto accaduto a due passi dal suo villaggio natale, nella contea di Clare. Meno di dieci anni prima erano stati svelati i contorni di un tragico omicidio, quello di una giovane incinta, Imelda Riney, del suo figlioletto di tre anni Liam, e di un prete, padre Joseph Walsh. Tutti e tre giustiziati dopo esser stati rapiti da un giovane malato di mente, poi trovato morto nel Central Mental Hospital di Dublino.

All’uscita del romanzo la scrittrice fu criticata aspramente, fu accusata di sciacallaggio, quasi avesse voluto gettare ombre sulla moralità del paese mostrandolo invaso da una marea montante di violenze, di incesti, di stupri. Aveva d’altro canto già seguito questi percorsi con il romanzo precedente, Lungo il fiume, ispirato di nuovo a un caso realmente accaduto, quello di una minorenne vittima di stupro che, per il divieto di aborto, decise di prendere il traghetto e cercare una soluzione in Inghilterra. Nel romanzo la ragazza viene stuprata dal padre, ed è messa alla berlina da una società bigotta pronta a incolpare sempre la vittima e mai il carnefice.

Anche in questo caso le polemiche sulle intenzioni della scrittrice furono feroci in patria e si mescolarono allo strascico di sospetti precedenti, forse ancora più gravi per l’opinione pubblica irlandese: che Edna O’Brien fosse una simpatizzante dei repubblicani irlandesi. Nel 1994 aveva infatti dato alle stampe il romanzo Uno splendido isolamento in cui affrontava di petto il conflitto del Nord raccontando la storia di un membro dell’Ira datosi alla macchia e ospitato da un’anziana signora che gli dà rifugio.
L’opera toccò un altro dei nervi scoperti della coscienza della Repubblica, quello di avere abbandonato il Nord in balia degli inglesi e di fare ora di tutta l’erba un fascio, considerando ugualmente responsabili delle violenze, sia i repubblicani che gli unionisti pro-britannici.

IN PIÙ DI UN’INTERVISTA, invece, O’Brien dichiarò la sua posizione di ferma condanna del nocivo apparentamento tra gli estremisti lealisti e la spietata fermezza dei governi britannici succedutisi nella storia. Il fatto poi di essersi documentata attraverso visite in carcere a un noto esponente del più grande movimento rivoluzionario dopo l’Ira, i socialisti dell’Inla (Irish National Liberation Army), contribuì a renderla invisa a una parte della coscienza politica ed editoriale del suo paese.

La storia di Edna O’Brien è quella di una ragazza venuta dall’ovest che mai abbassò la testa di fronte alle prepotenze, e che scelse sempre, nelle sue trame appassionate, di dar voce a chi non l’aveva. Questo ancora una volta sotto il segno dello scrittore che considerava il suo eroe letterario, James Joyce, il grande emancipatore. Lo disse spesso, e lo confessò di recente in un’intervista: «nessuno come Joyce mi ha insegnato che bisogna arrivare a ciò che è puro, a quel che fa male, a quel che commuove». Come spiega il poeta e Presidente d’Irlanda Michael D. Higgins, «Edna ha sempre detto la verità in maniera impavida: è stata una grandissima scrittrice, col coraggio morale di spingere la società irlandese a confrontarsi con realtà a lungo ignorate e soppresse».