C’è poco da stupirsi rispetto alle reazioni negative di Juncker e dei suoi Commissari di fronte all’annuncio di una nota di aggiornamento del Def contenente un deficit annunciato del 2,4 % del Pil. Alcuni soci del club e le istituzioni Ue sono giustamente inquieti di fronte alle picconate quotidiane che ricevono; e devono rispondere di fronte alle loro opinioni pubbliche rispetto alle pretese di aiuto, soldi e “flessibilità” da parte di un partner cosi ostile.

Non si tratta solo di un atteggiamento rigido nei confronti di regole che Prodi stesso definì a suo tempo “stupide” o, peggio, di un atteggiamento anti-italiano. I nostri interlocutori europei si sono resi conto che né Salvini né di Maio hanno alcuna empatia né interesse per il progetto europeo e se ne fanno realmente un baffo; rispecchiando la stessa identica logica suicida dei Brexiteers prima del referendum, si sono convinti o che l’Ue non può mollarci perché metteremmo a rischio l’euro; o che anche se succedesse, l’Italia può vivere molto meglio fuori dalla eurozona e magari anche fuori dalla Ue.

Entrambe queste convinzioni sono fallaci e pericolose; se le combiniamo a una fortissima deriva verso parole e azioni “illiberali” (non ultimi l’arresto del sindaco di Riace, le intimidazioni ai giornalisti e ai funzionari, i continui episodi di razzismo e discriminazione mai condannati, anzi fomentati) è facile rendersi conto che è indispensabile reagire e organizzarsi per raccontare un’altra storia, almeno su due fronti.

Quello della Ue e dello stato di diritto, innanzitutto. Come per molti britannici, che si dibattono ormai da due anni nel processo per districarsi dalla Ue senza riuscirci e si sono convinti che sia necessario fare marcia indietro, anche il nostro destino è in Europa. Per amore e forse anche per forza.

Noi siamo quelle dell’amore, ovviamente, donne appassionate di questo grande progetto di libertà, pace e sovranità condivisa ancora incompiuto, ma pensiamo che sia del tutto controproducente anche per gli euroscettici nostrani dedicarsi di più a rivendicare la sostenibilità di un Piano B e di un’uscita dall’euro che a costruire alleanze in Europa sul Piano A, che è quello di una profonda riforma della Ue, e in particolare del funzionamento del Consiglio e dell’eurogruppo, del regolamento di Dublino e dei poteri del Parlamento europeo, e da una disponibilità di risorse sufficiente per sostenere investimenti produttivi e sostenibili, magari da finanziare anche con tassazioni “ecologiche”, dalla plastica alla CO2. L’inizio pur faticoso e parziale di un’azione pubblica e aperta contro i governi ungherese e polacco dimostrano chiaramente che la Ue può non essere solo parametri e numeri.

La mobilitazione a favore dell’inizio della procedura dell’art. 7 nei confronti di Orban e del suo governo corrotto e autoritario non è solo una buona notizia per i democratici ungheresi. È un modo importante per dare senso e forza a un progetto europeo che oggi più che mai ha bisogno della spinta dei suoi cittadini.

In secondo luogo, nella disputa intorno al Def e alle decisioni sul deficit al 2,4%, ritorna spesso l’idea che questa scelta sarebbe meno controversa se il debito fosse diretto a sostenere, oltre che le persone più colpite dalla crisi, anche a finanziare investimenti produttivi. Vero! Ma non tutti gli investimenti, pubblici o privati che siano, generano sviluppo. In Italia non c’è alcuna discussione su quali siano quelli che più efficacemente creano lavoro di qualità e attività economiche competitive.

Per noi la risposta è chiara.

Bisogna puntare sul Green New Deal, la trasformazione ecologica del nostro modello di sviluppo. Questo significa ridefinire le priorità di investimento e spesa italiane ed europee, uscendo dalla dipendenza da fossili e concessionari parassiti, per puntare su attività e prodotti che ci mettano nella condizione di rispondere ai cambiamenti climatici e alla scarsità delle risorse; sull’educazione, sulla cura della persona e delle città; e sulla valorizzazione del patrimonio culturale e dell’ambiente come strumenti indispensabili di lotta all’emarginazione, alla discriminazione e al declino morale ed economico in atto in Italia.

Non pensiamo di essere isolate nella rivendicazione di queste priorità di azione per contrastare la deriva illiberale e la decadenza culturale ed economica in atto in Italia. Siamo sicure che ci sono molte persone, forze politiche e associazioni che lavorano nella stessa direzione. È importante che queste forze si parlino e si organizzino, in vista delle elezioni europee, ma non solo. Resta poco tempo e non lo dobbiamo perdere.

*Monica Frassoni, coportavoce Verdi Europei
*Rossella Muroni, deputata LeU
*Luana Zanella, coordinatrice Federazione dei Verdi