Blando, non risolutivo, deludente. L’annunciato piano «Educare alle relazioni», presentato ieri dal ministro per l’Istruzione (e merito) Giuseppe Valditara, non ha convinto né le opposizioni né il mondo della scuola, nonostante il soccorso dei ministri della Famiglia, Eugenia Roccella, e della Cultura, Gennaro Sangiuliano, con i quali ha siglato ieri un protocollo d’intesa: una dichiarazione di intenti con la promessa, da parte di Sangiuliano, di far arrivare i film degli studenti che parlano di violenza di genere alla Mostra del Cinema di Venezia. I toni vittoriosi dei tre esponenti del governo Meloni, tuttavia, non sembrano aver trascinato entusiasmi.

«È LA PRIMA volta che in Italia si fa un esperimento di questo tipo, che si affronta di petto il tema del machismo e del maschilismo, della violenza psicologica e fisica nei confronti del genere femminile», aveva affermato ieri Valditara ma chi la scuola la vive non la pensa così. «Non stanno scoprendo l’acqua calda: facciamo progetti del genere da più di 20 anni e da quando è stata istituita la giornata contro la violenza sulle donne, lavoriamo con le classi per accompagnarle al 25 novembre», dice Maria Catena Trovato, preside all’Istituto tecnico professionale Marconi di Catania e membro Dirigentiscuola.

«Succedono i fatti di cronaca e poi si ricorre a questi ripari che tali non sono perché non si tratta che di un ennesimo intervento non strutturale che carica tutto sui docenti buttando sulle scuole responsabilità che non possono reggere». Il piano Valditara, che nelle intenzioni dovrebbe partire a settembre 2024 con uno stanziamento di 15 milioni dai fondi Pon, è una sperimentazione su base volontaria e in orario extrascolastico.

La direttiva ministeriale dice infatti che le istituzioni scolastiche «possono» e non «devono» attivare queste iniziative progettuali. «Decideremo poi se renderlo obbligatorio, se funziona, o se modificarlo», ha specificato il ministro. Sono previsti, quindi, gruppi di discussione tra ragazzi guidati da un docente-moderatore che sarà formato da Indire. Ed è qui l’altro punto dolente per i sindacati: «le risorse messe in campo sono minime: 15 milioni per 8300 scuole – sottolinea il coordinatore nazionale della Gilda, Rino Di Meglio – ma la scuola da sola non può educare».

DI «RISPOSTA propagandistica ai recenti fatti di cronaca» parla la Flc Cgil che stila un elenco delle criticità: «l’impostazione specialistica, la collocazione del progetto in orario extracurricolare e a scadenza, l’attribuzione di ruoli impropri ai docenti, quasi fossero psicoterapeuti, e alle associazioni delle famiglie come controllori delle attività svolte, l’affondo sulle conseguenze giuridiche e penali dei comportamenti violenti, non restituiscono alla scuola la sua centralità nella formazione delle nuove generazioni per un autentico cambiamento culturale della società».

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«Tante scuole già fanno la loro parte, nonostante le ristrettezze di organici, di tempo e di risorse», dice la Flc che avvisa il governo «non si pensi scaricare sul sistema di Istruzione l’intera responsabilità di un intervento che deve essere strutturale e continuativo». «Di quante missioni sociali vogliamo far carico gli insegnanti?», si chiede anche il segretario della Uil scuola, Giuseppe D’Aprile.

MENTRE LE DONNE della Cgil hanno scritto direttamente al ministro chiedendo di non «delegare all’ordine degli psicologi la strutturazione dei corsi e le docenze, escludendo l’esperienza dei centri antiviolenza, delle studiose e degli studiosi delle conseguenze del patriarcato sulla nostra cultura». «Altrimenti – si legge nella lettera – sorge il dubbio che si stia dando vita ad una scatola vuota per dare una risposta mediatica al clamore di questi giorni o che si utilizzi questa occasione per rafforzare la cultura qualunquista, dannosa quanto quella patriarcale».

Anche il Pd, attraverso Laura Boldrini, chiede «una legge redatta con il contributo di esperti ed esperte» e non «progettini sperimentali». «Definire blando il piano di Valditara & Company è poco», dichiarano anche le deputate del M5S, «lasciare che l’educazione solo affettiva, escludendo quella sessuale, sia fatta con interventi spot non significa affrontare di petto la questione: è proprio per questa ipocrisia, la stessa di chi in Parlamento la definiva una ‘porcheria’ e che ora vuole intestarsi questa proposta con un piano raffazzonato, che non faremo passi avanti».

MENTRE la Rete degli studenti chiede «percorsi obbligatori in orario curricolare gestiti da psicologi, sessuologi, ginecologi, operatori dei centri antiviolenza, non un progetto sperimentale». «Anche per questo saremo in piazza il 25 novembre», annunciano.