Alexis Tsipras non aveva altra scelta di fronte al ricatto «prendere o lasciare» dei creditori, se non quella di rivolgersi ai greci. Il premier greco, se dovesse accettare le proposte dei partner europei, andrebbe contro il programma di governo, il «programma di Salonicco» e il mandato popolare. Inoltre – e questo ha inciso sulla decisione per il referendum – avrebbe dato il suo consenso a nuove misure restrittive, senza risolvere la questione del debito. Il referendum, idea che è sempre stata presente, è una mossa di grande rischio politico, che potrebbe indirizzare il negoziato verso un compromesso onorevole (obiettivo del governo greco); oppure potrebbe portare la Grecia a un status di «default controllato» dentro l’eurozona e un nuovo ricorso alle urne.

Nel primo caso la decisione del governo sarebbe parte delle trattative; nel secondo, se i partner europei chiudessero le porte a Tsipras, Atene e tutta l’Unione europea si dirigerebbero verso «acque sconosciute». Tsipras di fronte all’autoritarismo politico-finanziario e le nuove misure reccessive promosse dai neoliberisti europei, ha risposto proponendo la democrazia e la necessità di «un’altra Europa» della solidarietà e dei diritti.

Chi ha seguito ora dopo ora il duro negoziato tra Atene e i suoi creditori, avrà scorto il chiaro tentativo di umiliare personalmente Tsipras. Nonostante le concessioni da parte di Atene, alcuni dei creditori si irrigidivano sempre di più, mettendo nuove richieste sul tavolo delle trattative. Negli ultimi giorni, sembrava quasi che alcuni creditori (Lagarde, Schauble) volessero l’uscita della Grecia dall’eurozona, boicottando ogni tentativo d’intesa.

Questa intransigenza ha finito per rafforzare quelle voci interne a Syriza che si schierano a favore di vie alternative di sviluppo per il paese e l’uscita della Grecia dall’eurozona, mettendo alla prova la compattezza del suo gruppo parlamentare. Inoltre, la posizione del Fmi ha fatto inasprire i «Greci indipendenti», partner di governo pronti a votare contro l’eventuale intesa.
In questo ambito, secondo fonti governative, a Bruxelles è stata presa la decisione per un referendum sulla proposta dei creditori. Nella riunione nell’albergo della rappresentanza greca, erano presenti, oltre al premier, il partner di governo e leader del partito di destra Anel, Panos Kammenos, il vice-premier, Yannis Dragasakis, il ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, il portavoce, Gabriel Sakellaridis, il capo-gruppo della squadra greca di negoziato, Euclid Tsakalotos e il ministro Nikos Papas, braccio destro di Tsipras.

La reazione della popolazione

Fin dalla mattina c’è stata la corsa ai bancomat -a fine mese vengono pagati dipendenti e pensionati – a dire la verità senza panico, né accuse contro il governo visto che prevale l’indignazione contro i creditori. L’Alpha Bank ha sospeso fino a domattina il trasferimento di denaro in altre banche, come riferisce il suo sito web. Ieri, ancora prima dell’incontro a Francoforte del vice-premier e del capo-gruppo della squadra greca con il presidente della Bce, il vice-ministro della Riforma amministrativa, Yorgos Katrougalos ha assicurato che «lunedì prossimo il governo greco non chiuderà le banche, né saranno introdotti controlli sui capitali».

Non è da escludere però il capital control, mentre si parla dell’eventualità di un «default controllato» visto che la Grecia il 30 giugno non sarà in grado di pagare 1,6 miliardi di euro al Fmi. A livello economico tutto dipenderà dall’atteggiamento della Banca centrale europea, che finora, tramite l’Ela, ha garantito la liquidità alle banche elleniche. Di fatto Draghi che «ha dimostrato comprensione per la scelta del referendum» durante una telefonata con Tsipras, non ha alternative oltre il 30 giugno.

Al massimo per le prossime 48 ore l’Eurotower potrebbe garantire la liquidità agli istituti di credito ellenici. Dopo martedì prossimo, giorno in cui scade il programma greco, i rubinetti della Bce chiudono, visto che secondo il suo statuto vengono aiutati paesi che sono o sono in processo di essere sottomessi a programmi di salvataggio. In questo caso la Grecia «perde» più di 20 miliardi di euro, ovvero gli «aiuti finanziari» dei creditori, ma guadagna – se non pagherà – le rate del suo debito. Un mancato pagamento non implica l’uscita dall’eurozona.

Il dibattito politico

Più complicata appare la situazione a livello politico. L’annuncio del referendum sembra che inizialmente abbia rafforzato la fermezza della maggioranza dei greci contro l’intesa. Parlando con le persone per strada, nei negozi, alcuni, con uno spirito di sollievo, si erano schierati a favore del «no» al piano di salvataggio voluto dai creditori. La stessa posizione era stata espressa da tutti i ministri e i dirigenti di Syriza che invitano i greci a votare contro.

Un’assenza piena di significati invece, durante la giornata di ieri, è stata quella del capogruppo europarlamentare, Dimitris Papadimoulis e del ministro dell’economia, Jorgos Stathakis.
Durante la giornata il clima è lievemente cambiato, dopo la dura condanna dell’opposizione del centro e della destra , che durante il dibattito parlamentare per l’approvazione della proposta per il referendum, hanno criticato Tsipras di voler portare il paese fuori dall’Ue. Tutta l’opposizione ha sostenuto che non si può fare un referendum «per una questione fiscale», ed «è quindi anti-costituzionale», mentre la maggioranza dei costituzionalisti da diverse aree politiche ha notato che «le proposte dei creditori sono una questione di interesse nazionale», sottolineando la legittimitàdel referendum.

Al di là di questo, il referendum, per l’opposizione equivale a una domanda sulla permanenza o meno nell’Unione europea. Il tentativo è chiaro: giocare sulla volontà della maggioranza dei greci, che rifiutano il piano di salvataggio, ma nello stesso tempo si schierano a favore della permanenza del paese nell’eurozona. La confusione viene alimentata dal fatto che da Bruxelles i creditori sostengono che «non esiste un pacchetto ufficiale di proposte» e che «comunque tali proposte non saranno più valide dopo il 30 giugno, e quindi non ha senso il referendum».

In effetti dal momento che da martedì prossimo con la scadenza del programma dei creditori non saranno più valide neanche le loro proposte, la domanda che si pone è «per quale motivo organizzare la consultazione popolare». In più, visto che i creditori potrebbero decidere da un momento all’altro anche un piccolo cambiamento nel loro pacchetto di misure restrittive, su che cosa voteranno i greci? Le prossime ore sono più che critiche per l’avvenire del Paese.