Fra le prime ad arrivare alle agenzie, di buon mattino, è la foto di Monica Cirinnà, senatrice del Pd e mamma della legge sulle unioni civili, faticosamente approvata in questa legislatura anche grazie alla sua «tigna»: è davanti a un’edicola e ha comprato il manifesto per sottoscrivere a favore della Casa internazionale delle donne. Poco più tardi su twitter arriva la foto delle consigliere comunali del Pd Michela Di Biase, Valeria Baglio, Ilaria Piccolo e Giulia Tempesta con la consigliera della lista civica Svetlana Celli. La location è il loro luogo di lavoro, l’aula Giulio Cesare, sede dell’assemblea del Campidoglio: «Vogliamo ribadire oggi la nostra vicinanza e sostegno alla Casa, una ricchezza della città di Roma, un’esperienza storica, unica in Italia e in Europa, punto di incontro per tutte le donne del mondo». In un post scriptum si avverte che alla sottoscrizione hanno partecipato anchealcuni consiglieri maschi.

È LA IMMINENTE campagna elettorale, bellezza? Anche. Ma una lettura troppo «scafata» del successo che la vertenza della Casa internazionale delle donne ha in queste settimane – è stata anche una protagonista della piazza del 25 novembre scorso – non sarebbe buona cronaca, non renderebbe giustizia a un punto all’ordine del giorno che si è imposto con la sua forza autonoma (cioè quella della donne che lo hanno posto dall’inizio). Ed è anche la forza di una vertenza romana che vede la sindaca Virginia Raggi dall’altra parte del tavolo ma che parla in realtà di una questione assai più grande della Capitale. E più grande delle capienti mura del secentesco reclusorio per donne «devianti» di via della Lungara trasformato dagli anni Ottanta – dalla cura delle donne che all’inizio lo avevano occupato e da quelle che ora lo animano – nella sede di quaranta associazioni che lavorano principalmente sui temi dei diritti delle donne, sulla loro salute fisica e psicologica gratis o a prezzo «politico».

«Quello spazio è un bene comune che aggiunge prestigio alla città. Anche solo ipotizzarne lo sfratto è una ferita all’intelligenza e a una storia che sa guardare al futuro», spiega Barbara Pollastrini, democratica di osservanza cuperliana. «Non si possono chiudere le porte dell’accoglienza e dell’antiviolenza. Mai. Scenderemo direttamente in campo se serve perché luoghi del genere aumentino, non spariscano», annuncia la Uil di Roma. La difesa dei centri antiviolenza è stato uno dei temi principali dei cortei del 25, e del dibattito a Montecitorio della mattinata di quello stesso giorno organizzata dalla presidente Laura Boldrini. A ricordare che i luogo di aiuto alle donne sono spesso la possibilità concreta e immediata di salvare vite era stata Antonella Veltri, di Dire (Donne in Rete contro la violenza, 80 centri in tutta Italia). Che in aula aveva spiegato che quel il nuovo Piano antiviolenza voluto dal governo ancora non riconosce a pieno il ruolo dei centri. Per non parlare del tema dei finanziamenti:nel 2016 la Corte dei conti ha denunciato che le regioni hanno speso male le risorse destinate alle strutture, «un fiume di soldi erogati ma dispersi», ha spiegato Veltri.

PARLANO ANCHE ALCUNI politici, per lo più di sinistra. Anche loro ’postano’ la loro adesione alla campagna. Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) con un manifesto nel cortile di Montecitorio, « sosteniamo la Casa Internazionale della Donne a Roma, non deve essere chiusa», Roberto Speranza (Mdp) fotografa la sua copia del giornale, « Un bel sostegno ad una realtà preziosa», e altrettanto Massimiliano Smeriglio (Campo progressista) dalla scrivania da vicepresidente della regione Lazio.