Per quanti sforzi faccia, non riesco a ricordare da quanto tempo e come ho conosciuto Giancarlo. La ragione non sta nel fatto che l’età può annebbiare la memoria, ma che la presenza di Giancarlo non era di quelle che si impongono, ma che si sentono profondamente. Come se ci fossero sempre state. Allo stesso modo non mi convinco di averlo perduto. Sapevo che era stato un dirigente autorevole del Partito comunista barese. Ma del dirigente non aveva nulla di quel distacco un po’ altero, verso le persone e le cose, che ho conosciuto in altri. Piuttosto si notava in lui un fondo di autoironia e anche di consapevole nostalgia. Si sentiva, si vedeva che Giancarlo era ben cosciente che noi comunisti eravamo entrati in una piega negativa della storia. La cosa non ci assolveva, ma nello stesso tempo rendeva più comprensibile la nostra sconfitta. La umanizzava. Così che Giancarlo pareva la personificazione di quella famosa frase che Gramsci scrisse dal carcere al fratello Carlo «Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni». E Giancarlo seppe ricominciare, con l’attenzione appassionata e puntuale di chi ha il senso delle cose, comprese quelle solo apparentemente minute. Un magnifico organizzatore culturale.

Mi piaceva la sua concretezza, diciamolo pure gliela invidiavo, così come quella sua capacità di trasmettere calma agli altri che era frutto di un ordine mentale così poco diffuso e perciò prezioso. So bene che il giornale cui consegno queste righe vive e vivrà, grazie anche alla sua vita. Ecco perché non ti perderemo, caro Giancarlo. Sfogliando il Manifesto continueremo a vedere e riconoscere i tratti del tuo volto e del tuo sguardo, serenamente proiettato verso un mondo che dobbiamo cambiare.