«Abbiamo bisogno di un accordo, anche modesto, per poter respirare. Poi, il tempo giocherà a nostro favore». Negli ambienti della sinistra radicale greca c’è preoccupazione non solo su un possibile nuovo fallimento dei negoziati, ma anche sulla qualità di un eventuale accordo siglato dai negoziatori greci con i creditori. Quello che più si teme è una sostanziale riedizione del piano Juncker, in cambio di un «prestito ponte» necessario a non dichiarare bancarotta. Nella redazione di Epohi (settimanale indipendente molto vicino a Syriza) Pavlos Claudianos, firma storica del giornale e intellettuale di riferimento della sinistra radicale, nutre gli stessi timori, ma è convinto che in questo momento sia necessario, per il governo greco, prendere tempo perché il referendum di domenica ha innescato un processo di cambiamento i cui effetti si cominceranno a vedere dall’autunno, con il voto spagnolo.

Come valuta la richiesta di un prestito-ponte da 7 miliardi fatta da Tsipras a Bruxelles? Crede che sarà accettata dall’Europa?

Ho paura di un brutto accordo, che avrebbe il solo obiettivo di sconfiggere il governo greco. La Germania ha più forza di quanta noi crediamo, lo dimostrano le posizioni di Francia e Italia. Ma ormai siamo al limite: il modello di un’Europa che realizza la linea tedesca non ha futuro. Si apre un’epoca di transizione dalla quale forse noi non faremo in tempo a ricavare alcun vantaggio, però si tratta di un processo irreversibile. In ogni modo, il negoziato in questo momento serve alla Grecia per prendere tempo. Bisogna aspettare. Il 61% del no al referendum aiuta molto Podemos in Spagna ed è un fatto politico rilevantissimo per tutta l’Europa. Per questo dico che il tempo è dalla nostra parte: se un prossimo governo spagnolo (dove si vota in autunno, ndr) porterà una proposta diversa a Bruxelles, non potrà essere trattato come Cipro o la Grecia. Inoltre, bisogna considerare che nessuno vuole che si cambino gli equilibri in Europa, neppure Cina e Russia, e questo lo si può interpretare solo con l’incertezza nell’economia mondiale. Gli Stati Uniti, poi, hanno un interesse geopolitico particolare, perché la Grecia è l’unico paese stabile nell’area e non vogliono avere un problema in più.

I falchi tedeschi e nordeuropei non paiono però pensarla allo stesso modo.

Il negoziato sarà duro, perché hanno preparato un ambiente ostile. Pensano che la Grecia debba arretrare, mentre noi sosteniamo il contrario: arriviamo a Bruxelles con un consenso forte ed è l’Europa che deve cambiare posizione. Il fatto che ci sia stato un accordo tra il popolo e il governo greco è importante: la gente ha dato fiducia a Tsipras, anche nelle difficoltà. Non era scontato. Alle elezioni del 25 gennaio si pensava che il premier avrebbe risolto più facilmente i problemi in Europa e ora c’era il rischio che lo ritenessero incapace di trovare una soluzione. Ma non è stato così.

Quali sono, secondo lei, i margini di trattativa?

C’è bisogno di un accordo, anche modesto, per prendere fiato. Ma cercheranno in tutti i modi di far fallire la Grecia, perché questo rappresenterebbe l’inizio della fine per Syriza.

Ma un accordo modesto, come lo definisce lei, quanta possibilità ha di essere poi approvato dal parlamento greco? La sinistra interna di Syriza, e non solo, non lo accetterà facilmente.

Il problema esiste, però più passa il tempo e più, sia dentro il partito che tra la gente, ci si renderà conto delle difficoltà. Il voto di domenica è stato uno spartiacque decisivo. Syriza ha fatto pressioni su Tsipras per interrompere i negoziati e arrivare al voto, senza essere subalterna al governo. Sono state anche organizzate manifestazioni contro l’austerità. A un certo punto è perfino accaduto che Syriza ha spinto l’esecutivo a prendere delle decisioni. Anche se nel partito ci sono molte lamentele, la verità è che esso è aperto, non si è ancora formata una burocrazia e Tsipras è uno di loro. Se si dovesse fare un accordo anche modesto, sarà compito del partito allargarne i margini o anche rovesciare delle decisioni. Per questo sarà molto importante il rapporto con i movimenti sociali. Non è detto che tutto quello che verrà firmato a Bruxelles sarà anche accettato.

Posizione pragmatica, dunque: firmiamo un accordo, prendiamo tempo e poi si vedrà.

La tattica è quella di avere una discussione continua, con vittorie anche piccole su tutto il territorio. Syriza resterà dentro i movimenti e la società, non accetterà tutte le decisioni del governo.

Intanto c’è il problema delle banche che rimangono chiuse, senza che la Bce allarghi la liquidità. Si vocifera di misure d’emergenza nel caso le trattative si dovessero arenare ancora una volta.

La furbizia di Draghi è stata quella di mordere senza lasciare il segno. È stato un modo per far capire che in questa partita c’è anche lui. Ora non ci sono molti giorni a disposizione. Sicuramente il governo non aspetterà di vedere cosa accade prima di preparare un piano alternativo.

È fiducioso che alla fine si troverà un compromesso?

Tsipras è andato a Bruxelles con un doppio vantaggio: il 61% al referendum e l’accordo di tutti i partiti per negoziare una proposta diversa. Non si potrà dire più che c’è un governo di minoranza che non capisce cosa sta facendo, gli avversari dovranno trovare altri argomenti. Siamo in un periodo di transizione e non abbiamo molti margini di trattativa, la Grecia ha presentato proposte moderate e le altre forze politiche del paese le sostengono. Tutto ciò costerà molto a noi greci, ma non abbiamo paura di questo. Se falliamo noi, a farne le spese saranno soprattutto gli altri paesi europei.