La vera protagonista è esposta nella hall del Cinema Odeon di Bologna, dove oggi alle ore 19 ci sarà un’altra replica di 1 mappa per 2, documentario realizzato da Roberto Montanari e Danilo Caracciolo. Cosa racconta di tanto eccezionale questa storia (quasi) incredibile? Il primo giro intorno al mondo in motocicletta compiuto dai due bolognesi, Leopoldo Tartarini e Giorgio Monetti tra il 1957 e il 1958, in sella niente di meno che di una Ducati 175! Oggi, 57 anni dopo, quella Ducati è parcheggiata in un angolo, a farsi ammirare in «carne e ossa», dopo averla vista per settanta minuti sullo schermo a compiere le avventure più impensabili, salire fino agli oltre 5mila metri di altezza sulle Ande o attraversare una strada quasi impraticabile. È lì a parlarci in silenzio con le sue scritte incise sul serbatoio in latta, per fare da testimone assieme ai due amici, oggi ottantenni, del lungo viaggio attraverso cinque continenti, toccando una quarantina di paesi e incontrando ben quattro rivoluzioni.

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L’idea del doc nasce sul set di L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, dove Roberto Montanari, uno dei due registi, era presente in qualità di papà della piccola Greta, la bimba protagonista del film. Giorgio Monetti, invece, uno dei motociclisti di quella impresa, era stato scritturato come consulente per il dialetto bolognese. Di tempo per parlare di esperienze di vita ce n’era tanto nelle varie pause e attese durante le riprese, così Monetti snocciola uno dietro aneddoti del megatour in sella alla Ducati. Nessuna esagerazinoe, tutto vero e testimoniato dalle riprese in 16 mm in suo possesso. Montanari ne rimase sempre più affascinato e decide di parlarne al suo compagno di viaggi visivi, Danilo Caracciolo. Dopo aver visionato le due ore di girato, non hanno dubbi: il grande sogno di Monetti va di veder narrata quell’impresa pionieristica sul grande schermo, va realizzato. Come finanziare questo progetto però? Proposto a Giusi Santoro della casa di produzione Popcult di Bologna, decidono di lanciare un crowdfounding in rete chiuso in anticipo avendo raggiunto velocemente una cifra superiore a quella richiesta per coprire le spese della post-produzione.

L’idea del «fantastico» viaggio intorno al mondo in moto invece era nata nella testa di Leopoldo Tartarini, che dopo aver vinto tutte le gare nel 1953 per la Benelli venne reclutato dalla scuderia della Ducati. Un incidente aveva fermato le corse, ma non c’era stata nessuna rescissione del contratto e tanto meno la sua voglia di andare in moto. Scatta l’idea di proporre alla Ducati l’impresa, e il celebre marchio accetta con entusiasmo. Partenza il 30 settembre 1957 dal piazzale della fabbrica sita a Bologna, alla presenza di migliaia di persone, dagli allora ottocento operai a tutti i membri dei vari moto club italiani, ai numerosi fan, nonché alla stampa. Tartarini, ridendo, ammette nel film: «non potevo fallire!» Il compagno di viaggio l’aveva trovato in Giorgio Monetti, come lui affascinato dalle due ruote e disposto ad affrontare sacrifici. Di sicuro era tutta un’incognita: due tute di pelle, qualche cambio di vestiti e – via. Unico requisito sul piano pratico era una mappa del mondo, dove le distanze si misuravano con le dita e un dito corrispondeva a circa 2/3mila chilometri. Non avevano preso nessuna precauzione sul versante sanitario o quello geografico. Un’incognita anche l’idea di come finanziare il progetto. In parte aveva provveduto la Ducati, ma di sponsor all’epoca non si parlava.

I due furono pionieri anche in questo, recandosi a Milano dai vari fornitori della Ducati per chiedere dei contributi. Subito ottenuti. Erano altri tempi, tempi di grandi cambiamenti, invenzioni, e del boom economico, il cui contesto viene ricreato nei primi minuti del film con brevi sequenze di immagini d’epoca, montate in rapida successione. Immagini in bianco e nero, per passare al colore nel girato di oggi, dove i due eroi smontano la Ducati di allora per riportarla in strada, e lo fanno scambiando battute nel tipico sense of humour bolognese e i racconti di alcune tra le esperienze più forti. Via terra erano arrivati dall’Italia fino in Turchia, proseguendo per l’Iran, il Pakistan e l’India. Si sono imbarcati per raggiungere l’Indonesia, dove si stava lottando contro gli olandesi e loro due, bianchi, erano stati costretti a nascondersi in uno scantinato per non rischiare di rimanere uccisi. Salvo poi, a governo indonesiano insediato, essere trattati come ospiti d’onore e invitati a pranzo coi vari ministri…

L’Australia e poi il Sudamerica, passando dal Canale di Panama. Chiuse le frontiere del Venezuela presero la direzione per il Perù passando sulle Ande, vivendo le difficoltà delle altezze estreme. La storia prende corpo grazie a un montaggio che ha saputo creare percorsi paralleli e incrociati tra immagini e musica (scritta da Roberto Nanni ed eseguita dai 7_Floor), e anche tra culture ed epoche diverse, come per esempio i suoni delle campane di una chiesa sulle colline bolognesi, azionate da Monetti muovendo «atleticamente» i fili (ricordano il campanaro russo in Campane dal profondo di Herzog) che si dissolvono negli echi lontani di un canto muezzin, mentre scorrono le immagini sgranate del deserto libanese di un tempo lontano. Potenza della poesia visivo-sonora che sa evocare valori quali l’unione tra le culture.