Come ogni inizio settembre la discussione politica pare rianimarsi. Quest’anno non solo con riferimento alle amministrative del mese prossimo, ma con un minimo di respiro in più, con una ripresa di interesse per la prospettiva, al netto ovviamente di polemiche sterili e asfittiche.

Anche nel centro-sinistra c’è una ripresa di discussione, se pure come sempre in assenza di un vero ed autonomo punto di vista di sinistra. A fronte degli attacchi di Salvini alla tenuta del governo di cui pure è parte (e del riavvicinamento con Meloni), apprendiamo dal Manifesto che Enrico Letta ha dichiarato: «Il Pd è il partito più draghiano dell’intero schieramento politico». Insomma il Partito del Presidente (del Consiglio) del Governo del Presidente (della Repubblica). Non il modo migliore di riprendere a discutere.

Letta che pure è divenuto segretario di contro alla componente interna che aveva fatto cadere il governo Conte II (penso alla giusta turnazione dei due capigruppo di estrazione renziana, che Zingaretti, va ricordato, non fece), posiziona ora il partito a difesa strenua del premier succeduto a Conte.

A stretto giro gli ha risposto Bettini: «Questo è un governo dove coesistono posizioni diverse su tutto, dal lavoro, all’Europa, alla lotta al Covid». Quando si sceglie di far parte di una maggioranza di «solidarietà nazionale» si sa che va a finire così, Bettini comunque conclude: «Bisogna che riprenda la dialettica democratica». Pare di capire quella di una alternativa fra destra e sinistra, dove tutte le parti recuperano la loro identità e vocazione maggioritaria, in una logica di alternanza fra progetti, prospettive, classi politiche. Bettini lascia intendere di preferire un trasloco di Draghi al Quirinale, chiudendo l’esperienza dell’attuale governo e andando al voto, ovviamente con il prediletto schieramento Pd-5Stelle.

È chiaro che il quadro politico è debole e la proposta di Bettini non è credibile. Se la destra può accontentarsi dell’accordo tattico Salvini-Meloni, il centro-sinistra avrebbe bisogno di una strategia. E invece il Pd è scisso fra un segretario che si considera «il più draghiano» di tutti e chi dice: quello di Draghi «non è il nostro governo».

Puntualmente i sondaggi registrano questa confusione, inchiodando Letta alla stessa misura di Zingaretti. E allo stesso destino.

E a sinistra? Fratoianni ha il merito di fare opposizione, ma il demerito di non fare politica. Questa schizofrenia fra contrarietà a Draghi e mancanza di alternativa impedisce alla sinistra di stare nel dibattito politico. Ad esempio indicando una alternativa a Letta e Bettini.

Sono anni che la sinistra radicale resta così, bloccata, inutile e corresponsabile.

Sponda Mdp Bersani ha dichiarato: «Una volta c’erano il Pci e il Psi. Ma oggi la sinistra dove sta?» Come direbbe quel tale: si faccia una domanda, si dia una risposta. Elly Schlein dal canto suo lamenta il Pd che ha fatto il Jobs Act e mille altre cose, poi però in Emilia Romagna è vicepresidente di Bonaccini, con il suo autonomismo regionale e un piano urbanistico ambientalmente pessimo. Per altro partecipa alle «Agorà» di Letta, che poi sono le stesse di «Piazza Grande» di Zingaretti. Cose che, qui ha ragione Bersani, servono solo a «dare un po’ d’aria al Pd».

Questi sono gli interlocutori. Questo il livello della discussione.

Che possiamo sperare? C’è voluto un opinionista moderato come Sabino Cassese per parlare sul Corriere di una «politica fuoco-fatuo», fatta solo di chiacchiere e tatticismi, dove «l’organizzazione è sostituita dal leader» e dove la strategia è surrogata dalla «single issue politics».

Poi ci lamentiamo dell’antipolitica, del populismo, del sovranismo e della sinistra scomparsa. La strada è una sola, accidentata e in salita: un nuovo insediamento sociale, nuove idee, nuova organizzazione, soprattutto gente nuova.