Mario Draghi vola in Trentino, sul luogo del disastro della Marmolada, e l’incontro con Giuseppe Conte salta per cause di forza maggiore. Tutto rinviato a domani, dunque. Dal Movimento 5 Stelle fanno sapere di voler rinviare anche il Consiglio nazionale che doveva tenersi nel primissimo pomeriggio, per consentire al leader di spostarsi alla volta di Palazzo Chigi. Di conseguenza, anche il confronto interno è spostato di due giorni. Il che fa pensare che l’attendista Conte approfitti di questo rinvio per prendere tempo anche nel confronto coi suoi.

ORMAI NON È un mistero che molti tra i 5 Stelle premano perché si arrivi allo show down dei rapporti con la maggioranza: soffrono la pressione dei nuovi gruppi di Luigi Di Maio e sono convinti che soltanto una mossa di rottura servirà a ritrovare un’identità più definita. Conte, dal canto suo, ha ancora qualche residua speranza che il M5S possa ritagliarsi il suo spazio nel perimetro della grande coalizione e che magari possa intestarsi qualche provvedimento. Da qui l’idea di presentarsi dal presidente del consiglio con un pacchetto di richieste sul fronte della crisi economica e del sostegno ai più deboli, tanto più che i parlamentari di Insieme per il futuro non hanno esitato a marcare la loro voglia di emanciparsi dalla misura simbolo del M5S al governo, votando la norma sul reddito di cittadinanza che esclude dalla misura chiunque rifiuti offerte di lavoro di privati (e non solo quelle dei centri per l’impiego). «Come si garantisce la congruità, convenienza o affidabilità dell’offerta senza che ci sia un soggetto pubblico a fare da garante della correttezza del processo?», chiede la deputata M5S in commissione attività produttive Soave Alemanno, proponendo che tutte le proposte passino dai centri per l’impiego.

SUL TAVOLO C’È anche l’alleanza col centrosinistra, che rischierebbe di saltare in caso di fuoriuscita dal governo. Il tema è strategico, ma va registrato che dentro al M5S e le minacce del Pd hanno un peso sempre più relativo. Chi sostiene che è arrivato il momento di rompere teorizza anche che questa ultima fase di legislatura sarà basata su geometrie completamente diverse rispetto a quelle che hanno disegnato finora la maggioranza e gli schieramenti virtuali all’interno di essa.

NEL FRATTEMPO le divisioni si sono materializzate in aula, nel corso della discussione sul decreto aiuti: la giornata è stata caratterizzata da battibecchi tra 5 stelle col Pd e il resto della maggioranza. Il capogruppo alla Camera Davide Crippa ha rinfacciato al governo di non essersi dotato di strumenti adeguati per controllare il costo dell’energia. I dem sono insorti quando il deputato Alberto Zolezzi accostato l’assessore ai rifiuti Sabrina Alfonsi a Cosa nostra: toni che hanno riportato per qualche ora la tensione alle stelle e rinverdito gli attacchi iperbolici del grillismo prima maniera, anche se di fronte alla levata di scudi il pentastellato a porgere le sue scuse. Proprio sul ciclo dei rifiuti e sul mega-inceneritore romano voluto da Roberto Gualtieri precipita la tensione immediata. «Una volta che il sindaco Gualtieri avrà il potere di costruire l’impianto – sostiene il deputato Marco Bella – la decisione e la responsabilità politica sarà esclusivamente sua e della maggioranza che lo appoggia, perché può scegliere tra alternative più economiche, sicure ed efficienti».

L’IPOTESI È CHE i 5 stelle concedano la fiducia ma non votino il testo, che prevede misure di sostegno per 23 miliardi ma contiene anche il contestato articolo 13 sul commissariamento della gestione dei rifiuti propedeutico alla costruzione dell’impianto. La pratica della fiducia, che dovrebbe essere ufficializzata oggi in occasione delle prime votazioni in aula, è in mano al ministro per i rapporti col Parlamento Federico D’Incà, cioè uno dei 5 Stelle che sta lavorando per convincere Conte a restare nel governo e che per questo viene tacciato da alcuni eletti di essere una sorta di quinta colonna dimaiana dentro al M5S.