Dolce-amaro, il verdetto emesso dalle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione sull’applicabilità delle norme del primo decreto sicurezza, quello del 2018 voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Allo stesso Viminale, che aveva portato davanti agli ermellini il ricorso contro tre casi di immigrati cui era stato concesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari, le Sezioni unite hanno risposto, innanzitutto, che il decreto legge 113 del 4 ottobre 2018 non si applica retroattivamente ma al contempo, aggiungono i giudici dell’organo supremo della Cassazione, non è sufficiente essere inseriti nella società italiana dal punto di vista sociale ed economico, per ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La Corte ha chiarito che le norme contenute nel cosiddetto primo Decreto Salvini (tra le più incisive: l’abrogazione di fatto della protezione per motivi umanitari, la restrizione dei diritti di cittadinanza, del sistema di accoglienza e della protezione internazionale) non trovano «applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge».

Perché, spiegano i giudici, «in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile». Dunque, le domande pendenti all’entrata in vigore del Decreto sicurezza «saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione», anche se il permesso di soggiorno verrà poi rilasciato «per casi speciali», secondo la norma contenuta nell’articolo 1, comma 9, del decreto Salvini.

Contraddetto su questo punto il leader della Lega, però la Cassazione ha dato poi ragione a Salvini quando ha annullato i permessi di soggiorno concessi a due cittadini gambiani e a un bengalese, contro i quali si era opposto il Viminale. Per le toghe del Palazzaccio, infatti, non basta esaminare il livello di integrazione del migrante. Per ottenere tali documenti occorre anche tenere in considerazione la «specifica compromissione» dei diritti umani nel Paese di origine del richiedente.

«Sui permessi umanitari aveva ragione la Lega – esulta Salvini – È la migliore risposta agli ultrà dei porti aperti e che vorrebbero cancellare i decreti sicurezza». E il pronunciamento della Cassazione in punta di legge si trasforma in uno slogan.