Quando Clubhouse ha iniziato a comparire negli iPhone mediorientali, gli ottimisti hanno immaginato uno spazio finalmente libero in cui si potesse parlare di tutto, intaccando tabù sessuali, politici, religiosi, patriarcali, sociali. Uno spazio «privato», lontano dagli occhi e le orecchie dei regimi che – è stereotipo piuttosto radicato nella realtà – nel mondo arabo, e non solo, sono ovunque. C’è anche chi, come l’editorialista di Bloomberg Tae Kim (che cita lo stupore di un saudita nel trovarsi di fronte centinaia di stanze dove discutere di politica), si è spinto a scrivere che dieci anni dopo «Clubhouse potrebbe aiutare a soddisfare...