Abbiamo o no il “diritto di morire”? Per l’ordinamento giuridico certamente sì. Per la Chiesa cattolica ovviamente no. E per la Corte costituzionale? Dipende. Cosa dice l’ordinamento? Già il codice penale non punisce il suicidio o il tentato suicidio.

Ma dalla mancanza di sanzione non viene di per sé un “diritto”. Che invece si trae dal combinato disposto degli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione. In specie, per l’art. 32 si può rifiutare un trattamento sanitario anche se salvavita, come correttamente esplicita la legge 219/2017. La lettura sistematica dell’art. 32 con gli artt. 2 (diritti fondamentali) e 13 (libertà personale) consente di configurare un’area di privacy e di disponibilità della propria persona che portano nella scelta individuale garantita il come e il quando la propria vita abbia termine. Una ricostruzione ampia del principio di autodeterminazione. Nessuno può imporre al malato un trattamento sanitario, e nessuno ha il “diritto” o l’”obbligo” di impedire, a chi è nella pienezza delle proprie facoltà, comportamenti che, senza recare danno o porre in pericolo altri, siano volti a porre termine alla propria vita: volgere un’arma contro la propria persona, assumere un farmaco letale, lanciarsi nel vuoto.
Nel senso indicato si muove anche la giurisprudenza dei giudici di Strasburgo (Cedu). Da Pretty v. The United Kingdom (2002), Haas v. Switzerland (2011); Koch v. Germany (2012), Gross v. Switzerland (2013) si trae che la scelta del come e quando morire è, per una persona nel pieno delle proprie facoltà, un aspetto della privacy garantita dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per il comma 2 dello stesso art. 8 sono ammissibili limitazioni da parte di una pubblica autorità essenzialmente per la tutela dei diritti e delle libertà altrui, e segnatamente nel caso di persone in condizioni di debolezza e vulnerabilità.

Cosa dice la Corte costituzionale? Con l’ord. 207/2018 ha sospeso il procedimento, iniziato nel giudizio penale a carico di Marco Cappato per il caso di dj Fabo, e ha dato al legislatore un preciso termine – che scade oggi – per intervenire. Una novità nell’esperienza costituzionale italiana. La Corte avrebbe potuto espungere dall’art. 580 c.p. l’assistenza al suicidio. Sia partendo dal diritto di morire, essendo difficile definire reato l’assistenza a chi esercita un diritto. Sia prendendo le mosse dalla assimilazione operata nella norma tra istigazione e assistenza, essendo palese la differenza tra l’assistere – prestare un mero aiuto materiale per l’attuazione di una volontà già compiutamente e autonomamente formata – e l’istigare – concorrere attivamente alla formazione della volontà del suicida.

Ma la Corte non intende cancellare il reato di assistenza. Teme abusi, in specie ai danni di persone deboli e vulnerabili. Richiama l’ipotesi di persona «(a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli». In sintesi, il reato di assistenza non è di per sé incostituzionale, ma va circoscritto.

Ora la scadenza del termine posto al legislatore lascia alla Corte tre opzioni. La prima, espungere tout court il reato di assistenza dall’art. 580 c.p. La pronuncia di illegittimità non precluderebbe una successiva legislazione limitativa secondo gli indirizzi segnati dalla stessa Corte. La seconda, intervenire direttamente sulla fattispecie con una sentenza interpretativa, volta a orientare la lettura dei giudici ordinari. Strada però impervia per il giudice di costituzionalità in tema di sanzioni penali. La terza, prorogare il termine, senza garanzia alcuna sull’esito.

Delle tre vie, essendo la seconda difficilmente percorribile, e la terza non lontana da una denegata giustizia, la prima è probabilmente quella più saggia e prudente. Tra l’altro, ci solleverebbe da un dubbio che ci assilla dopo le tante parole della ord. 207/2018. Se l’aspirante suicida è persona in salute e pienamente compos sui, l’assistenza si può configurare come reato? Nel dubbio, l’aspirante suicida si rassegni a morire in solitudine, per evitare guai a familiari e amici. È il prezzo che si paga all’ipocrisia.