«Non ce la facevo a resistere all’imbarazzo di un dibattito lunare sotto tanti aspetti». Per il professor Gustavo Piga, docente di Economia politica a Roma Tor Vergata, «il taglio dell’Iva, specie se temporaneo, sarebbe un errore madornale: per far ripartire la crescita serve un piano di investimenti pubblici immediato per spendere al meglio l’occasione imperdibile dei fondi europei».

Il professor Gustavo Piga

Professor Piga, il premier Conte apre al taglio dell’Iva con l’intento di far ripartire i consumi. Perché non è una buona idea?
Premessa: essere a capo di una macchina complessa durante una delle crisi più complesse della storia non è facile. Detto questo, in un quadro economico in cui con il crollo delle entrate e il giusto pagamento della cassa integrazione avremo un rapporto deficit-Pil al 6 per cento con la prospettiva di aumentarlo al 10%, io le poche risorse che rimangono non le userei certo per il taglio dell’Iva.

Si dice: sarà un taglio temporaneo per la durata della crisi.
Un esempio di taglio temporaneo dell’Iva lo abbiamo già avuto: in Giappone. Ha avuto anche un grosso impatto sul momento, ma l’anno successivo c’è stato un nuovo crollo dei consumi. Perché la verità è che i consumatori hanno semplicemente anticipato di un anno l’acquisto di beni durevoli. Per il resto, hanno semplicemente risparmiato.

C’è però l’esempio tedesco: la Merkel ha appena deciso una riduzione dell’Iva temporanea.
Quella è un’altra storia. La Germania si può permettere di tagliare l’Iva e dunque non sarà una misura temporanea ma durevole. Se vogliamo una misura espansiva, la riduzione dell’Irpef lo sarebbe molto di più. Anche perché abbassare l’Iva in un paese come il nostro significa arrendersi alla lotta all’evasione perché l’evasore consuma comunque e invece non si controllano più i redditi: l’imposizione sui consumi è meno distorsiva.

Se non va bene ridurre l’Iva, quale strada propone?
La verità è che l’Italia è in stagnazione da oltre 10 anni ed ha un bisogno folle di crescita. L’unico modo per fare aumentare il Pil è aumentare gli investimenti pubblici, ed è sconvolgente che nessuno lo proponga. Gli investimenti pubblici sono infatti figli di un dio minore perché favoriscono le persone meno abbienti – quelle che lavorano ad esempio nei cantieri e hanno perso il posto nella scorsa crisi – perché favoriscono le piccole imprese – che politicamente non hanno aiuti – e favoriscono le future generazione – che notoriamente non hanno voce in capitolo. In più in questo modo si ridurrebbe anche il rapporto con un debito pubblico che sforerà quota 170%, facendo felici i – per fortuna pochi – rigoristi rimasti.

Ma i 170 miliardi delle risorse europee non sono finanziamenti pubblici?
Beh, intanto voglio vedere se arriveranno, perché il dibattito politico europeo mi sembra tosto. In più anche se arrivassero – e di certo non lo faranno prima della seconda metà del 2021 perché dopo l’accordo politico serve l’accordo giuridico – noi italiani dobbiamo farci trovare pronti a spenderli – qua ha ragione Conte – e allora dagli Stati generali io avrei fatto uscire la scelta di 10 settori a cui affidare 17 miliardi l’uno per i quali a giugno prossimo avere progetti e capitolati e mostrare all’Europa che abbiamo già deciso come spendere. Anche tramite stazioni appaltanti – il vero punto debole – in cui tornare ad assumere personale capace: ingegneri e architetti giovani.

Ci sono però settori – penso al turismo – che hanno bisogno di recuperare subito e per i quali gli investimenti pubblici non danno effetti immediati.
Verissimo. Ma come fece Franklin Delano Roosvelt con il New Deal iniziare subito a costruire strade, a mettere a posto il dissesto idrogeologico, mettere la banda larga, nel giro di poco tempo può dare al turismo una crescita fortissima, specie al Sud: molti decidono di non venire in Italia per la mancanza di infrastrutture materiali e immateriali. Partiamo subito e – con un buon piano di comunicazione – già l’anno prossimo avremo il boom del turismo, allargando il settore.

Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sostiene però che una riforma fiscale sia necessaria.
Ed è giustissima la sua posizione. Una riforma fiscale complessiva è necessaria per ragioni di equità – pagano tanto i soliti noti – per favorire le tassazioni progressive – e non regressive come alcune aliquote Iva – e per aumentare gli investimenti perché sentir dire che i 170 miliardi debbano essere usati per ridurre le tasse è una castroneria insostenibile.