Fra Pd e M5S una mattinata iniziata con un filo di dialogo finisce a pesci in faccia. Sulla Stampa Graziano Delrio indica una generica possibilità di confronto in parlamento sul salario minimo e sul conflitto di interessi. Sul primo: «L’abbiamo proposto per primi: certo andrebbe discusso come realizzarlo». Sul secondo: «Assolutamente sì, ma deve riguardare tutti, anche la trasparenza di piattaforme informatiche e la manipolazione di dati».

Ma il tema del dialogo con M5S è un nervo scoperto dentro il Pd. Lo dimostra il bombardamento riservato a chi ne ha fatto anche una vaga menzione durante le primarie, come Massimiliano Smeriglio e Goffredo Bettini. Ora però l’uscita di Delrio, per quanto in concreto persino rituale, è del tutto fuori tempo: i dem sono impegnati ventre a terra strappare voti in vista delle europee (ieri l’Swg ha segnalato il sorpasso del Pd su M5S, 22,5 contro 21,8, e un calo della Lega) e Zingaretti ha portato la sua linea su posizioni renziane – gialli e verdi pari sono. In più, nel partito, non deve dare nessun alibi ai renziani per avviare la famigerata scissione.

Nel Pd infatti esplode il malumore. A mettere il carico da novanta è Luigi Di Maio che si toglie il capriccio di sbattere una porta in faccia, rivelando che di rapporti con i dem manco a parlarne: per le leggi «nel contratto di governo gli interlocutori sono le forze di governo. Poi, se il Pd vuole votarle magari può redimersi per quello che non ha fatto quando era al governo».

A questo punto nel Pd scoppia il caos. I renziani attaccano Delrio per aver fatto al vicepremier grillino un assist per umiliarli: «Se devo redimermi vado in chiesa, non faccio accordi con Di Maio. Non si prendono certo lezioni da lui», dice Luca Lotti. E Maria Elena Boschi: «Ma su cosa vuole dialogare il capo di un partito assistenzialista, giustizialista, incompetente?» e aggiunge l’hashtag «#senzadime», quello dei tempi della formazione del governo, quando Renzi ordinò ai suoi di non sedersi al tavolo con M5S. Altri, come Andrea Orlando, chiedono di non «strumentalizzare» le parole di Delrio. Che però alla fine deve rettificare: «Se c’è qualcuno che deve chiedere scusa dei propri errori e dei danni causati al paese questo è Di Maio con il suo alleato Salvini di cui si vergogna», dice l’ex ministro, «Con un governo che continua sulla strada della incompetenza e dell’arroganza la strada è chiusa».

La pietra tombale sulla vicenda la mette Zingaretti che dall’inizio predica che in caso di crisidigoverno non si presterà a un soccorso e che anche per questo ora devechiudere subito la polemica: «L’apertura di Delrio a M5S è una grande tempesta in un bicchier d’acqua. La vera vergogna è che il governo non ha fatto niente per il lavoro, litiga su tutto, e sta giocando sulla pelle degli italiani».