Di Maio e Salvini: «Questa Ue è finita»
Lo scontro La risposta alla lettera della Commissione che ha criticato il Def. Al vicepremier M5S la parte del diplomatico: «Tria inizierà una interlocuzione»
Lo scontro La risposta alla lettera della Commissione che ha criticato il Def. Al vicepremier M5S la parte del diplomatico: «Tria inizierà una interlocuzione»
La risposta di Di Maio e Salvini alla lettera con la quale i commissari Moscovici e Dombrovskis hanno criticato il documento di economia e finanza (Def) preannuncia il prossimo scontro: «Non voglio alzare i toni con l’Europa perché, diciamolo chiaro, questa Europa è finita» ha detto ieri il vicepremier ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio per il quale «Sopravvivrà ancora «pochi mesi». Alle prossime elezioni europee Di Maio si aspetta «un terremoto» politico in Europa proprio “«ome c’è stato un terremoto con il voto in Italia». Le voci che oggi fanno fatica a farsi ascoltare in Europa avranno, dopo le europee, «il quadruplo della forza avuta in questi anni». Non è stato da meno il vicepremier gemello, ministro dell’Interno Matteo Salvini, che coltiva le stesse certezze contro il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker: «L’Europa dei banchieri, quella fondata sull’immigrazione di massa e sulla precarietà continua a minacciare e insultare gli italiani e il loro governo? Tranquilli, fra sei mesi verranno licenziati da 500 milioni di elettori, noi tiriamo dritto».
LO SCHEMA è quello dello scontro tra neoliberisti e populisti, tra l’altro avvalorato dal presidente francese Macron nei giorni dell’incontro milanese tra Orban e Salvini, quando è stato inaugurato l’asse italo-ungherese, una delle gambe dello schieramento nazional-populista che cercherà di accerchiare, o egemonizzare, il partito popolare europeo per arrivare a una maggioranza diversa da quella stabilita con i socialisti. I Cinque Stelle hanno un posizionamento incerto in questo schema, ma contano evidentemente di trovare una soluzione. Come hanno fatto in Italia, alleandosi con la Lega.
SE IL PIANO per il medio periodo è chiaro, ma ancora da verificare, incerte sembrano al momento le prospettive sull’immediato. Il governo gialloverde dovrebbe pur sempre portare a casa una legge di bilancio a dicembre, accordarsi con una Commissione Ue che non sembra propriamente amichevole, con un commissario agli affari economici come Moscovici (che non si ricandiderà a maggio 2019), ma sembra protagonista di un assolo anti-populista da molti giudicato inopportuno, sia nei modi (il Def, ufficialmente, non lo ha ancora visto), sia nel merito politico. Se questa legge di bilancio, con coperture incerte e prospettive di crescita poco credibili, fosse realmente bocciata, questo sarebbe carburante per l’asse avversario in vista delle elezioni europee. E forse anche per una nuova, eventuale, scadenza italiana, nello stesso giorno. Qualora il governo fosse aggredito da un’ondata di spread (si ipotizzano scenari oltre i 400 punti); dal temuto tribunale finanziario delle agenzie di rating a fine mese che potrebbero anche rubricare a «spazzatura» i titoli di stato, si ipotizza anche uno scenario da 2011, quando Berlusconi fu costretto a dimettersi. Siamo in una fase politica molto diversa: uno scenario simile potrebbe anche corroborare la sfida politica rilanciata, senza troppi giri di parole, ieri da Di Maio e Salvini. Le risposte sono aperte, lo vedremo già da domani quando riapriranno le borse e quel giudice al quale oggi è attribuita una discutibile autorità politica – i mercati – torneranno a emettere le loro sentenze. Tutto è possibile: anche un escalation.
DI MAIO non ha dimenticato la diplomazia e non ha avanzato l’accusa di «terrorismo» formulata il primo ottobre scorso. Dice di avere apprezzato «il fatto che la lettera sia stata mandata a mercati chiusi. Abbiamo tutto il weekend per discutere di questa lettera a mezzo stampa, ma deve essere chiaro che questo governo non arretra. Adesso il ministro Tria inizierà una interlocuzione con le istituzioni, il presidente Fico sarà nei prossimi giorni a Bruxelles».
NEL MEZZO dello scontro si trova Juncker che in un’intervista al quotidiano viennese Der Standard ha detto di «non avere paragonato l’Italia alla Grecia», ma certamente «l’Italia si trova in una situazione difficile». «Non spetta alla Commissione» entrare nel merito delle misure inserite in manovra come la flat tax o il reddito di cittadinanza ma «spetta ai politici italiani impostare misure che permettano di rimanere entro gli obiettivi di bilancio concordati». A Salvini che aveva detto di voler parlare solo con «persone sobrie» Juncker ha risposto di «non avere sentito cosa ha detto, l’ho solo letto. Il fatto che due vicepremier italiani si esprimano in modo estremamente sboccato sulla Ue fa capire tante cose». Cosa, lo capiremo nei prossimi giorni.
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