La Banca centrale europea sembra aver deciso di non decidere, almeno non nel senso di una rottura con gli equilibri continentali che fino ad oggi ha dovuto rispettare. A maggio il suo presidente Mario Draghi aveva annunciato che sarebbe ricorso a mezzi non convenzionali per allontanare l’Europa dal pericolo stagnazione, ma oggi tale scelta non sembra così netta come gli annunci lasciavano intendere. Da giorni gli operatori finanziari si attendevano una decisione di continuità e così è stato. La Bce decide di tagliare ulteriormente i tassi d’interesse di 10 punti, portandoli al minimo storico di 0.15%, mentre il tasso sulla liquidità che le banche decidono di non utilizzare, depositandola in Bce, diventa negativo per lo 0.1%. Se prima la resa era pari a zero, ora diventa persino costoso non impiegare questo denaro.

Un altro tentativo di smuovere il credito nella direzione degli investimenti. Mentre il tanto atteso quantitative easing, cioè l’immissione di liquidità nel sistema finanziario attraverso un significativo programma di acquisto di titoli pubblici e privati, non decollerà nel modo consueto.

Insomma a breve non avverrà ciò che avviene negli Usa, in Giappone, nel Regno unito, con dubbi risultati sul piano sociale se paragonati all’immensa mole di denaro coinvolta. Ci sarà invece un pacchetto per risollevare il credito all’economia reale attraverso la riesumazione di titoli cartolarizzati e l’emissione di credito condizionato al finanziamento alle imprese. Il problema non è solo la stretta sul credito da parte delle banche, ma anche la mancata richiesta di finanziamenti da parte dell’impresa che vive una fase di stallo profondo, come anche gli studi di Confindustria confermano. Dopo l’infatuazione diffusa per un allentamento quantitativo in salsa europea, i dubbi sono aumentati. Alla tradizionale diffidenza tedesca, ostile a monetizzare i debiti pubblici dei paesi periferici (col rischio di sprecare risorse in favore delle cicale e di rimandare sine die le necessarie riforme dei paesi periferici stessi), nelle ultime settimane si sono aggiunte le voci critiche sull’efficacia di un’operazione simile. I problemi, infatti, sarebbero quale tipo di titoli acquistare e soprattutto perché, visto che i titoli pubblici oggi sono ritenuti già sufficientemente bassi. Per la ripresa, dunque, sarebbe necessaria ben altra scossa. Per ora invece la Bce continua sulla strada degli annunci, lasciando aperta la porta a ulteriori interventi, ma senza assumere impegni troppo stringenti. Un modo per convincere gli investitori che la Bce potrà agire nuovamente anche in futuro, aspettandosi in cambio da loro l’acquisto di titoli e bond che contribuirebbero a diminuire il valore dell’euro.

La banca Morgan Stanley in alternativa propone direttamente un acquisto massiccio di dollari per far scendere il prezzo dell’euro, rendendo nuovamente competitivi i prodotti dei paesi europei, in particolare quelli di paesi come Italia, Francia e Spagna e non solo della Germania, unica che riesce ad approfittare di un euro forte. Intanto la ripresa in Europa appare un miraggio, con una crescita che si riduce nel primo trimestre del 2014 dal già misero 0.4 al 0.3% del Pil e con un rischio deflazione sempre più concreto, con l’inflazione che nel mese di maggio è scesa al 0.5%, cioè più del previsto (0.6%), coinvolgendo in modo marcato anche l’economia tedesca passata rispetto al mese precedente dall’1.3 al 0.9%.

In ogni caso i provvedimenti di politica monetaria di sostegno all’economia reale, siano di tipo finanziario all’impresa o tesi alla svalutazione dell’euro, non escono dal recinto di una visione mercantilista, basata sulla ricerca esasperata della competitività. Nessun ripensamento sistemico, mentre si scivola socialmente nel baratro. Basta guardare i dati su disoccupazione e povertà.