Nicola Zingaretti scrive al premier Conte per chiedere un incontro urgente per «affrontare in maniera seria e responsabile» la sorte delle 42 persone a bordo della nave Sea Watch e più in generale le politche migratorie «evitando di offrire al paese questo osceno teatrino indegno per un paese civile». È un appello umanitario, contro un ministro dell’interno che ostenta i naufraghi «come un trofeo». Ma anche un richiamo al ruolo istituzionale di Palazzo Chigi. I porti chiusi sono solo millanterie, scrive, «come ricorda il sindaco di Lampedusa», per di più «il decreto legge Sicurezza bis prevede che la decisione sulla chiusura dei porti debba essere presa di concerto tra il ministro dell’interno, della difesa e delle Infrastrutture, informando il presidente del Consiglio». E che fa Palazzo Chigi mentre Salvini ignora il ruolo del premier e di almeno altri tre ministri?
Ieri il Pd si è finalmente attivato in difesa della capitana Carola Rackete, ripetutamente insultata da Salvini, e dei naufraghi della Sea Watch. Da Roma alla volta di Lampedusa è partita una pattuglia di deputati che ha raggiunto l’isola intorno alle 21. Con loro anche Fratoianni di Sinistra italiana e Stumpo di Art.1. «Una staffetta di parlamentari con il compito di vigilare. A turno garantiremo la nostra presenza fintantoché la situazione non sarà risolta», spiega Matteo Orfini dall’aeroporto di Fiumicino. Nel gruppo – Faraone, Raciti, Rizzo Nervo e Pini – c’è anche il capogruppo dem Graziano Delrio. Che però a Lampedusa, dopo aver portato solidarietà alla comandante, deve anche risolvere l’ultimo pasticcio in cui si infilato il Pd.

Al ritorno infatti dovrà affrontate la questione degli accordi con la Libia. La risoluzione Pd chiede «di proseguire e rafforzare la cooperazione» con Tripoli. Ma sei suoi deputati ne hanno firmata un’altra, di segno opposto, depositata da Erasmo Palazzo (Si) insieme a colleghi di Leu e +Europa, che chiede di non autorizzare la «missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera libica». In sostanza di stracciare gli accordi, varati all’epoca del governo Gentiloni, di collaborazione con centro di coordinamento libico perché contraddicono «le norme internazionali in materia di diritti umani e diritto dei rifugiati», «perché i migranti corrono il pericolo di essere sottoposti a tortura e trattamenti inumani e degradanti in Libia» e «perché le autorità libiche potrebbero respingere i migranti verso i loro stati di origine, dove potrebbero nuovamente essere sottoposti a tortura».

Ai primi dissensi dem, capeggiati da Orfini e Migliore, ieri si sono aggiunti quelli di Marattin e Miceli. Ma soprattutto è iniziato il cannoneggiamento dei renziani all’indirizzo del segretario, per il quale la «linea» è quella del testo del gruppo (gli autori materiali del testo in realtà sono l’ex ministro Minniti e Lia Quartapelle), ma che «ci sarà una discussione su questi punti». Roberto Giachetti chiede un chiarimento: «Sorprende, nell’assenza di una discussione politica, il silenzio di Zingaretti ovvero il fatto che non esprima la sua posizione», a rischio «di scaricare su di un gruppo parlamentare tensioni e contraddizioni che riguardano tutta la nostra comunità». Una richiesta a cui si unisce Anna Ascani e e Alessia Rotta. È un dito nell’occhio del segretario per portare a galla le contraddizioni della linea sulle politiche per l’immigrazione del «nuovo Pd». Che è la vecchia linea Minniti e del suo ex capo di governo Gentiloni.

All’inizio della prossima settimana, prima del voto delle risoluzioni – fra martedì e mercoledì – Delrio riunirà i gruppi per il famoso chiarimento. Per paradosso a lui toccherà la difesa dell’ex collega Minniti con il quale più volte si è scontrato ai tempi del governo. E, paradosso nel paradosso, la cosa potrebbe persino non avere alcun effetto pratico se non quello di accendere nuove polveri nel Pd: con ogni probabilità l’approvazione preventiva della risoluzione di maggioranza farà decadere i testi dell’opposizione.