L’attesa che, nonostante le indiscrezioni, circonda il Def che il governo varerà oggi è comprensibile. Si tratta del primo passo della prima legge di bilancio attribuibile al governo di centrodestra, che nell’autunno dell’anno scorso si era trovato con il grosso del lavoro già fatto da Draghi e dunque con margini di manovra quasi inesistenti.

SE LE INDISCREZIONI SARANNO rispettate, il Def Meloni-Giorgetti non si scosterà però dal solco di quello Draghi-Franco. Il ministro dell’Economia raccomanda prudenza e trasferisce in cifre il saggio intendimento. Dunque ci sarà un miglioramento nelle previsioni di crescita ma contenuto e realistico: dallo 0,6% allo 0,9%. Verrà registrato un passetto avanti anche nel rapporto deficit/Pil, dal 4,5% al 4,35%. Quest’ultima voce metterà un po’ di miliardi a disposizione del governo, da indirizzare quasi certamente sul fisco. Pochi però, non più di 3. Su queste basi la prossima legge di bilancio avrà lo stesso segno di quella dell’anno scorso, il marchio non solo del rigore ma dell’austerità. Sempre che vada tutto bene.

SULLE CIFRE CHE IL GOVERNO metterà nero su bianco nel Def pesa infatti una quantità di incognite, tutte più o meno esiziali. L’inflazione, per esempio, è una voce certamente positiva, essendo scesa dal 9,1% di febbraio al 7,7% di marzo. Nel frattempo però l’Opec+ ha deciso una riduzione drastica della produzione di petrolio che certamente impatterà sui prezzi e potrebbe portare a una nuova impennata dell’inflazione. Altro capitolo offuscato dall’incertezza è quello della stretta creditizia. È inevitabile che in una certa misura colpisca le industrie ma di quanto è ignoto, anche se una forte liquidità rende l’economia italiana meno dipendente dal credito bancario.

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CI SONO ALTRE MINACCE, più incombenti perché entrambe imminenti: lo stato del Pnrr e la riscrittura delle regole europee dopo la fase Covid. Domani approderà nell’aula del Senato, con notevole ritardo, il decreto Pnrr . Il ministro Fitto coglierà l’occasione per riferire sulla situazione del Piano: le criticità, il blocco della terza tranche del Recovery e la strada che il governo intende battere per sbloccare quei 19 miliardi di qui alla fine di aprile. Fitto dovrebbe anche illustrare le proposte di “rimodulazione” del Pnrr che il governo presenterà alla Commissione.

A grandi linee sono già note: eliminazione dei progetti irrealizzabili, spostamento nella Coesione di alcuni altri, passaggio dalla Coesione e dal RepowerEu di altri investimenti, per non dover rinunciare a nulla dei fondi del Next generation Eu. È probabile che una Commissione in questo momento particolarmente ben disposta accetti almeno in buona parte la rimodulazione, ma ciò non basterà a risolvere le radici strutturali dei rallentamenti, che dipendono solo in parte dalle mutazioni del contesto, cioè dalla guerra e dall’inflazione. Anche qualora l’Europa accettasse la parziale riscrittura del Piano che chiede l’Italia, la spinta del Piano sulla ripresa, e dunque sul Pil previsto dal Def, non sarà affatto garantita.

PER CERTI VERSI LA REVISIONE dei trattati è un fronte anche più pericoloso. Il “non paper” presentato dalla Germania la settimana scorsa veicola la richiesta di tornare al rigore. L’ipotesi sulla quale lavora la Commissione, quella di modulare almeno in parte i parametri a seconda delle diverse situazioni dei vari Stati, è bocciata seccamente: regole uguali per tutti. La Germania chiede inoltre un rientro dal debito non dello 0,5% ogni anno, come ipotizza Bruxelles, ma del doppio esatto. Con la sua crescita dello 0,9% l’Italia non potrebbe spendere un soldo.