Doveva essere approvato con la massima urgenza, ma il voto alla Camera sul decreto dignità è stato rinviato al 30 luglio, con il voto finale previsto (al momento) giovedì 2 agosto. Avrebbe dovuto già essere in aula per la discussione generale da ieri, ed essere votato entro domani, giovedì 24 luglio. Un percorso a tappe forzate. L’aula era stata prenotata anche domenica, giorno improponibile per una discussione. In più siamo a luglio, i banchi sono permanentemente vuoti. Anche quando parla il vicepremier, ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio. E ora il nuovo rinvio per evitare la fiducia, strumento da sempre criticato dal Movimento 5 Stelle, e per trovare una quadra con la Lega sui principali nodi del provvedimento sul lavoro e il gioco d’azzardo.

IL DECRETO URGENTEMENTE approvato il 2 luglio scorso dal consiglio dei ministri scade l’11 settembre. Ora il testo resta all’esame delle commissioni Finanze e Lavoro dove procede a fatica, tra bocciature, accantonamenti, segnalazioni e polemiche su emendamenti: quello del Pd contro l’aumento degli indennizzi contro i licenziamenti illegittimi, attaccato dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio. E questo mentre la conferenza dei capigruppo del Senato ha calendarizzato la discussione tra il 6 e il 10 agosto a ridosso della pausa estiva del Parlamento, a meno di modifiche in seconda lettura. «Al Senato aspettiamo l’arrivo del decreto, ma finché non sarà approvato alla Camera non possiamo essere certi» ha detto il ministro per i rapporti con il parlamento Riccardo Fraccaro (M5S) che ha parlato di un’approvazione «entro la fine della settimana prossima, sicuramente».

DIVERSI POSSONO essere stati i motivi del rinvio. Le norme sui contratti a termine, ad esempio. Il testo prevede la riduzione dei rinnovi (da 5 a 4) e della durata (da 26 a 24 mesi); la reintroduzione della causale dopo 12 mesi, ora i contratti a termini ne sono privi. C’è poi l’aumento delle indennità in caso di licenziamenti individuali illeggittimi: oggi è fissata a 24 mensilità, salirà a 36. La minima potrebbe salire da 4 a 6 mensilità. Poi la manutenzione sulle norme del lavoro in somministrazione. Negli ultimi 23 giorni c’è stato il caso della «manina» sulla tabella degli ottomila contratti in meno a parte, che ha portato a uno scontro furioso del governo contro il presidente dell’Inps Tito Boeri. Le imprese dall’artigianato all’alimentare, dall’industria al terziario, alle agenzie per il lavoro hanno denunciato una prima, modesta e parziale, inversione di tendenza. Una pressione considerevole che ha usato la sponda leghista della maggioranza per ottenere da Di Maio un ripensamento. Ieri il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha detto che il decreto dignità “è antitetico al contratto di programma che verte su reddito di cittadinanza e flat tax. Confidiamo che il Parlamento possa sicuramente migliorare il decreto». Di Maio ha risposto: «Forse non lo ha letto bene. Di sicuro non abbiamo bisogno di lui per interpretarlo».E ha citato un sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera secondo il quale tre italiani su quattro esprimono un giudizio positivo. Resta da capire se, all’interno della maggioranza, Lega e Cinque Stelle siano d’accordo sulle misure che avrebbero il consenso del 70 per cento degli italiani.

UN ALTRO PUNTO di frizione sono i voucher: reintrodurli, estenderli, lasciarli così come sono? Il ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio ha sfidato i sindacati a tenere un nuovo referendum, annunciato dalla segretaria della Cgil Camusso in caso di una loro estensione all’agricoltura, al turismo, al commercio e agli enti locali. I Cinque Stelle possono essere sensibili alla mobilitazione dei sindacati dell’agro-industria Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil, ieri a piazza Montecitorio. Come può un provvedimento presentato come la «Waterloo del precariato» recepire emendamenti sui voucher considerati come il simbolo più recente del precariato? Una risposta a questa contraddizione non è stata ancora trovata.