Metamorfosi: parola magmatica, equivoca, critica. Cambiamento biologico, esistenziale, politico, economico, sociale, culturale, ambientale. Innovazione. Rottura. Riforma. Rivoluzione.
La trasformazione guida, fra il 2 e l’8 d.C., la fantasia di Ovidio attraverso un repertorio di leggende che scaturiscono l’una dall’altra, si snodano e si intrecciano, senza soluzione di continuità narrativa. Un caleidoscopio di storie in 15 libri, nell’esametro dell’epica; un ininterrotto germogliare di cambiamenti di natura o di genere: dal mito alla Storia, fino all’apoteosi di Cesare, stella nel cielo. Dafne si tramuta in alloro, Io in giovenca, Narciso in fiore, Clizia in girasole, Aracne in ragno, Niobe in pietra, Filemone e Bauci in quercia e tiglio, Giacinto in fiore, Adone in anemone: storie di passione, gelosia, amore, incantesimi, vendette, incesti, pietà… E mentre insegue il filo che salda la catena di storie, il poeta della «contiguità universale» (Italo Calvino) perfeziona il dettaglio della metamorfosi. La riscrittura dell’epos, ripensato in maniera sorprendente e originale, stupisce e incuriosisce il lettore, che osserva la trasformazione da uno stato all’altro, il dramma dell’uomo che perde le sembianze umane, siglato da Pitagora e dalla legge della continua mutazione (XV libro). Di metamorfosi in metamorfosi, la materia magmatica lascia scorgere la possibilità di leggere il poema ovidiano come una grande rappresentazione metaforica del carattere incerto, precario e instabile della nostra epoca «liquida».
A questa suggestione risponde Francesco Ursini con il volume Ovidio e la cultura europea Interpretazioni e riscritture dal secondo dopoguerra al bimillenario della morte (1945-2017) (Editrice APES-Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, pp. 353, euro 25,00). Se il Novecento ha largamente attinto alle Metamorfosi, nell’ultimo quarto di secolo abbiamo assistito a una tale fioritura di saggi critici e ‘riscritture’ da poter parlare senza esagerazioni di «nuova età ovidiana» (Niklas Holzberg). Il 2017 ha visto poi la felice coincidenza del bimillenario della morte di Ovidio – l’autore classico più presente nelle arti e nell’immaginario dell’Europa medievale e moderna – e del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, il simbolico atto di nascita (25 marzo 1957) dell’attuale Unione Europea. In un momento di crisi del progetto di integrazione tra i Paesi membri, Ursini ci restituisce con spiccata sensibilità e solidità filologica un prezioso strumento di riferimento per la riflessione sulle radici della nostra identità culturale, invitandoci al dialogo incessante e fecondo con il passato quale terreno privilegiato di incontro tra cittadini di paesi diversi.
Il libro focalizza l’attenzione sulla critica ovidiana, da Hermann Fränkel (Ovid. A Poet between Two Worlds , 1945) a Nicola Gardini (Con Ovidio. La felicità di leggere un classico, ’17), passando per Wilkinson, Otis, Calvino, Rosati, Segal, Hardie, Barchiesi. Un coro di voci allo specchio che hanno contribuito a rivoluzionare l’approccio interpretativo alla poesia ovidiana, nella prospettiva della continuità di tutte le forme e della mobilità dei confini, dell’universo di realtà illusorie, imprevedibili e labirintiche, della stabilità e dell’instabilità dell’identità, «fluida» e precaria, dell’alienazione e dell’annichilimento, dell’ambiguità, tra presenza e assenza, dell’incertezza, nei suoi aspetti destabilizzanti ma anche liberatorî.
È così che Ursini passa alle Metamorfosi «nell’età dell’incertezza», prendendo in esame le riscritture letterarie e gli adattamenti teatrali e cinematografici del poema, in cui si incontrano e sovrappongono la memoria dei testi antichi e l’influenza delle moderne culture artistiche: dall’antologia poetica curata da Michael Hofmann e James Lasdun After Ovid. New Metamorphoses (Londra, 1994) alla pellicola Métamorphoses di Christophe Honoré (Francia, 2014). Ne emerge un Ovidio «contemporaneo» e «decostruito», per la forma frammentaria e disomogenea, per la rappresentazione di un universo in continua trasformazione, per il carattere moderno della tematica metamorfica nelle sue molteplici declinazioni, in linea con le tendenze che definiscono l’identità dell’uomo contemporaneo: dall’oscillazione dell’identità di genere dei miti di Ifi e di Ceni alla tentazione dell’eugenetica nel mito di Pigmalione, al vegetarianismo del discorso di Pitagora.
Se poi Ovidio è storicamente vissuto in un’epoca di passaggio tra due mondi, i suoi lettori potranno riconoscersi nel proprio «cambiamento d’epoca» (Papa Francesco, che invita al «coraggio di dire: abbiamo bisogno di un cambiamento» e risponde al mondo che si trasforma e cambia), dalle speranze di una «fine della storia» dopo la caduta del muro di Berlino alle minacce dello «scontro di civiltà» dopo l’11 settembre. «Nothing in our world is ever as solid as it seems» (Ph. Terry): il senso del carattere instabile, incerto, insicuro, indistinto della condizione contemporanea, che trova peraltro riscontro nella forma disorganica delle riscritture ovidiane, sembra cogliere un tratto caratteristico della nostra «età dell’incertezza» (J. K. Galbraith).
Da questo punto di vista le Metamorfosi appaiono l’opera più sintonica, laddove si legga il poema – con Calvino -– come grandiosa rappresentazione di un universo instabile e in continuo mutamento, ma anche – con Gardini – più aperto, libero, vitale, in cui la sensibilità contemporanea può riconoscersi e rispecchiarsi. Con la lezione di Ovidio, ognuno di noi ricorda la fragilità della civiltà e (ancora Calvino), l’esile filo del duraturo (così Carlo Ossola nella premessa al volume): perché mutare non è confondere, ma distinguere e «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio» (I. Calvino).
E se la società odierna è attraversata dall’«inferno del migrante», metafora del dramma esistenziale dell’uomo smarrito, delle certezze lasciate per un orizzonte incerto, del domani in un paese ignoto, non sempre ospitale, con nel cuore i compagni perduti, gli affetti spezzati, la speranza di libertà e dignità, per una vita migliore, Ursini chiude il suo lavoro con il capitolo «L’esilio di Ovidio e la condizione postmoderna», in cui analizza i romanzi contemporanei ispirati all’atto finale del poeta nel Ponto. Nel reimmaginare, anche rovesciandolo, il confino di Ovidio, paradigmi comuni sembrano trovare piena rispondenza negli elementi cardine della cultura postmoderna: la fine delle grandi narrazioni, la crisi della concezione unitaria della Storia e della fede nel progresso, l’emergere dei popoli «primitivi» e il loro ruolo nel determinare la fine della modernità, l’incontro in esilio con una realtà preferibile a quella che ci si è lasciati alle spalle, l’anelito verso un rinnovamento interiore e spirituale e il ricongiungimento alla natura, il fenomeno metamorfico e la dimensione allucinatoria, il motivo della fine, declinato in termini profetici, apocalittici, escatologici. Perciò l’esilio come rinascita, ritorno, trasfigurazione, metafora dell’altrove, della vecchiaia, della condizione esistenziale, scelta, confronto con i popoli marginali o perdita di contatto con la realtà, non è crisi e spaesamento senza possibilità di evoluzione, ma promessa di un nuovo inizio.
Dall’interazione tra interpretazione critica e riscrittura creativa emerge il Classico che nella sua complessità contribuisce a definire l’identità culturale europea. In quest’Europa in movimento, tra muri visibili e invisibili, muri di paura e aggressività, mancanza di comprensione e intolleranza, egoismo politico ed economico, logiche di profitto e potere, la sfida è quella di riempire di contenuto il vuoto che la parola cambiamento nasconde: rendere utile la propria storia, la propria memoria, la propria tradizione e avere la capacità di essere contemporanei, accogliendo il nuovo, nella continua meraviglia.