Quattro giorni e quattro notti, più di 90 ore di discussioni, scontri, minacce di abbandonare la riunione, tensioni personali. E alle 5,32 del mattino di martedì 20 luglio, alla fine della maratona che ha messo a punto la risposta della Ue alla recessione senza precedenti causata dalla pandemia, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, con un tweet ha annunciato: «Deal», accordo. «L’abbiamo fatto», ha aggiunto Michel.

IL QUADRO DI UN’EUROPA di fatto più federale è un programma di indebitamento comune per 750 miliardi di euro, di cui 390 saranno trasferimenti a fondo perduto (312,5 per gli stati, il resto per le imprese e programmi specifici) e 360 di prestiti agevolati. Il programma Next Generation Eu è coordinato con il budget pluriennale della Ue di 1074 miliardi. Il blocco europeo risponde con più di 1800 miliardi per far fronte alla crisi, a cui si aggiungono i 1600 di acquisti del debito pubblico della Bce, uno sforzo eccezionale che mette la Ue al livello dei suoi competitori, Usa e Cina. La Ue, che ha una notazione AAA, potrà prendere a prestito a condizioni più vantaggiose di quanto possano farlo i singoli stati, soprattutto quelli che ne hanno più bisogno. I maggiori beneficiari sono i paesi più colpiti dalla pandemia (e dalla crisi): Italia, Spagna e Francia.

L’ASSE FRANCO-TEDESCO, che non comanda la Ue ma senza il quale la Ue non si muove, ha ripreso a funzionare. Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno agito assieme in tutte le riunioni dei vari gruppi nelle ore calde del negoziato. La cancelliera si è detta «molto sollevata» perché l’Europa ha mostrato che «può ancora agire assieme». Macron ha parlato di un «giorno storico», di «un cambiamento storico della nostra Europa». Per il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, è «un vero piano Marshall europeo». L’olandese Mark Rutte, capofila dei “frugali” (4 paesi, con Danimarca, Austria e Svezia, a cui si è unita la Finlandia) è meno entusiasta: «Storico? Non userei questo termine». Ma l’offensiva franco-tedesca ha convinto i “frugali” ad ammettere che i paesi del Nord, più piccoli e più virtuosi, traggono enormi benefici dal mercato unico, che rischiava di crollare assieme all’euro sotto i colpi della crisi.

I “FRUGALI” HANNO ottenuto un aumento da 46 a 53 miliardi per 7 anni (cioè 1 miliardo l’anno) dei “rebate”, gli sconti concessi ad alcuni contributori netti (ne gode anche la Germania, anche se non avrà un aumento, mentre Francia e Italia, anch’essi contributori netti, non li hanno). L’Olanda potrà inoltre conservare a livello nazionale una percentuale più alta dei diritti doganali (dal porto di Rotterdam passa una buona percentuale di merci destinate al mercato unico). I “frugali” avranno inoltre un diritto di controllo su come verranno spesi i soldi nei piani di rilancio nazionali, ma non ci sarà la possibilità di veto, come voleva Rutte (i piani nazionali saranno valutati dalla Commissione, passeranno al Consiglio a maggioranza qualificata e ci potrà essere una richiesta di analisi più approfondita in caso di deviazioni troppo palesi rispetto agli obiettivi della Ue). L’obiettivo che tutti dovranno rispettare è destinare il 30% dei finanziamenti alla svolta green (il digitale è l’altro grande obiettivo).

SI TRATTA DI UN compromesso, come ha detto Merkel «le concessioni fanno parte dello spirito di compromesso, anche se è doloroso». Il prezzo del compromesso è una stabilizzazione della Pac (politica agricola, che però perde il 10% nella sua parte centrale) e dei Fondi di coesione, ma tagli netti al Just Transition Fund (destinato a favorire l’abbandono delle energie fossili), l’annullamento di Eu4Health (programma per la Sanità), tagli a Horizon Eu (programma per la ricerca).

RESTA NEL VAGO la questione del rispetto dello stato di diritto. Polonia e Ungheria sono soddisfatte, è questo il prezzo della loro rinuncia al veto al piano di rilancio. Sulla carta, a maggioranza qualificata il Consiglio potrà bloccare dei finanziamenti agli stati illiberali, ma la minaccia di sanzioni si allontana. Non è stato deciso nulla sul rimborso futuro, che durerà fino al 2058: la Ue approverà nuove risorse proprie? Carbon tax alle frontiere, tassa digitale, per ora c’è solo una tassa sulle plastiche monouso (altrimenti dovranno aumentare i contributi nazionali).

La parola passa all’Europarlamento, che deve votare il piano di rilancio e ha diritto di veto sul bilancio. Il presidente David Sassoli ha parlato di «piano senza precedenti». Ma ha invitato a «migliorare» gli strumenti: l’Europarlamento voleva la fine degli “sconti”, nuove risorse proprie, il chiaro rispetto dello stato di diritto e un bilancio 2021-23 più consistente. Anche i 27 parlamenti degli stati nazionali devono votare perché il Recovery Fund entri in atto. I trasferimenti saranno quindi nel 2021-23. Nell’immediato, l’Europarlamento deve approvare un intervento-ponte, per l’emergenza, basato sul bilancio Ue in corso.