Dall’opera lirica al jazz, dalla suite alla tarantella, una lingua universale
Musica Giovanni Bietti, «Lo spartito del mondo», Laterza
Musica Giovanni Bietti, «Lo spartito del mondo», Laterza
Con Lo spartito del mondo Breve storia del dialogo tra culture in musica (Laterza, pp. 176, € 16,00), Giovanni Bietti conferma senz’altro le sue grandi doti divulgative, e nello stesso tempo propone al lettore una chiave di lettura precisa per indagare il tema dell’alterità nell’esperienza musicale dell’Occidente.
Apprezzatissima voce delle Lezioni di musica di Radio Tre – il musicolo si oppone, pur valorizzandole, alle posizioni più diffuse della teoria postcoloniale che vedono nel rapporto occidentale con l’Altro anzitutto la conferma di una qualche supposta superiorità culturale, e propone, al contrario, di apprezzare di più , al netto dei limiti eurocentrici, «l’innovazione individuale», l’eccezionalità singolare, ovvero quelle esperienze a suo parere irriducibili a una generica accusa di ciò che Edward Said avrebbe chiamato «orientalismo».
Ne viene fuori una carrellata di interessanti proposte di approfondimento: la capacità di confronto con ciò che è «straniero» messa in campo da Orlando di Lasso; l’esotica deformazione musicale ai danni delle culture extraeuropee (della quale Bietti evidenzia non a caso i caratteri di curiosità e di innovazione tecnica); il cammino di certe danze popolari come la tarantella; la straordinaria avventura etnomusicologica di Bartók; fino alla problematica questione del nesso tra multiculturalismo e industria culturale, cui non a caso Bietti dedica i due capitoli finali.
Il libro si legge volentieri, sebbene con la sensazione che questa «breve storia» ceda, nel suo entusiasmo per singole e importanti esperienze, a un certo arbitrio. Come se il musicologo volesse dare corpo, per mezzo delle sue scelte, a quel culto dell’individualità che intende omaggiare. La considerazione critica del nesso musica e potere, ha ragione Bietti, rischia di essere il pretesto per un’accusa onnicomprensiva di eurocentrismo; ma nello stesso tempo è forse una delle poche chiavi che ci permette di collocare l’esperienza artistica del singolo entro una cornice materiale, sociale e simbolica molto complessa, non riducibile ai metri dell’originalità individuale e del genio.
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