Una manifestazione contro la manovra di bilancio di un governo che certo gode di un largo consenso popolare ma che ha di fronte anche una forte opposizione che viene dal mondo del lavoro. La grande partecipazione di lavoratori che ieri ha invaso Roma e che piazza S. Giovanni non riusciva a contenere, ne è l’evidente, vitale, importante e imponente dimostrazione.

L’ultima piazza unitaria di Cgil, Cisl e Uil fu nel 2013 dell’era renziana che tante batoste avrebbe regalato ai diritti sociali e tanti soldi pubblici alle imprese. Chi stava male oggi sta peggio e chi si arricchiva con la crisi continua a farlo. Il cambiamento chiesto con il voto del 4 marzo e promesso da Lega e 5Stelle con le leggi bandiera del reddito e delle pensioni, incontra l’opposizione dei sindacati con la richiesta di un piano straordinario di investimenti e di una politica salariale contro la piaga dei lavoratori poveri, cresciuta con un incremento monstre del 30% ( chi ieri era in piazza, vale ricordarlo, ha pagato con una giornata di lavoro).

In sostanza si reclama un vero cambiamento strutturale e si mette in evidenza il limite di una politica principalmente affidata alla redistribuzione del reddito.

A onor del vero la manifestazione di ieri ha messo in evidenza anche limiti e contraddizioni, come testimoniava la presenza al corteo di una delegazione di imprenditori emiliani favorevoli alle trivellazioni nell’Adriatico. E bisognerebbe finalmente metterla all’ordine del giorno la questione del rapporto tra crescita e qualità dello sviluppo, almeno finché la resistenza ecologica del pianeta ce lo consente.

Il governo dovrebbe ascoltare e chiamare al confronto una piazza così per due ordini di ragioni. Innanzitutto perché è la voce di un paese che vuole poter vivere di un lavoro dignitoso e godere di servizi sociali, questi sì, di livello europeo. Ma anche perché i vecchi, storici sindacati italiani, con tutti i limiti di strutture anchilosate, burocratiche e sopravanzate dalla rivoluzione tecnologica dei nuovi padroni del capitalismo globale, esprimono tuttavia culture politiche, sociali, costituzionali che nessun partito oggi rappresenta. Purtroppo non è l’ascolto, né il confronto la cifra distintiva di una maggioranza che, ogni giorno di più, si rivela, all’opposto, allergica al rispetto della rappresentanza, incline all’occupazione del potere e incapace di contrastare una rovinosa recessione economica.