La digitalizzazione nella scuola può anche essere guidata e non imposta. Lo pensano alcuni gruppi di pensatori informatici che hanno avviato incontri in tutto il paese per aiutare i docenti a capire cosa significa, soprattutto nella didattica, lavorare con il modello del software libero e perché scegliere tra grandi gruppi e piattaforme non-profit.

Non è una scelta tecnica ma del tutto politica e riguarda la condivisione del sapere, la libertà di accesso alle informazioni e l’idea di scuola come una comunità in cui tutte le sue componenti partecipano attivamente al processo di costruzione della conoscenza. Il modello esiste e funziona: si tratta del Progetto Fuss avviato fin dal 2005 dalla Provincia Autonoma di Bolzano con lo scopo di portare il software libero nelle scuole del territorio e considerato ancora oggi all’avanguardia.
Finanziato dal Fondo Sociale Europeo, il «Fuss» ha lo scopo di sviluppare e divulgare un modello digitalmente sostenibile di didattica con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) ponendo le basi per il libero accesso al sapere.

Dalla pandemia il progetto si è esteso a macchia di leopardo in diverse zone d’Italia, ma oggi, con la questione del Pnrr e il progetto «Scuola 4.0», è tornato alla ribalta nelle assemblee degli istituti che hanno avviato una riflessione sui fondi in arrivo. E sta stimolando la necessità, da parte dei docenti, di informarsi su modelli alternativi di digitalizzazione.

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«La prima questione riguarda tutti, – spiega Graffio, collaboratore del Centro Internazionale di Ricerca sulle Convivialità Elettriche (C.I.R.C.E) – è che le grandi corporation delle tecnologie digitali come Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft (Gafam) hanno interessi che non hanno nulla a che fare con le necessità didattiche di insegnanti e studenti ma vogliono estrarre più dati possibili da coloro che utilizzano le loro piattaforme per profilarli e per vendere pubblicità, anche di prodotti politici».

«La seconda – continua l’hacker – riguarda nello specifico le scuole, spinte ad adottare software che hanno un modo loro di funzionare che non è quello delle relazioni umane. Così rischia di venire meno quindi la relazione tra i compagni di classe e tra gli insegnanti e studenti. Questo è grave perché le persone apprendono se hanno relazioni aperte in cui c’è possibilità di scambio, altrimenti si chiama addestramento al lavoro, non apprendimento».

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A questi problemi, dicono dal collettivo C.I.R.C.E «si aggiunge il tema urgente del rischio di sottomettere la scuola ad una infrastruttura i cui scopi sono incentrati sulla spendibilità immediata del sapere e sullo sviluppo delle competenze anziché su formazione ampia e critica, nonché quello di modificare definitivamente i contenuti dell’insegnamento per adeguarli al sistema tecnologico e a fini efficientistici e utilitaristici».

La disparità delle forze in campo è evidente e gli interessi economici in gioco sono tali da rendere molto difficile l’introduzione nelle scuole di software libero. Tuttavia le esperienze di Bolzano e di tanti altri piccoli istituti, anche al Sud, dimostrano che sta crescendo l’interesse verso forme alternative di digitalizzazione.

 

*** La sostenibilità digitale in classe

Un nuovo approccio alle tecnologie informatiche da parte delle scuole e un modello di condivisione democratico basato sul software libero in grado di garantire anche la sicurezza dei dati personali secondo il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) dell’Unione Europea e il codice di amministrazione digitale.
È stato il tema dell’incontro tenuto ieri online «La sostenibilità digitale a scuola» con Guido Scorza dell’autorità per la privacy. Tra le altre sono state raccontate le esperienze del Progetto Fuss.