Valentino Parlato era nato a Tripoli il 7 febbraio del 1931 da una famiglia siciliana di Favara (in provincia di Agrigento) dopo che il padre si era trasferito in Libia per lavoro. Per la sua militanza comunista, già a vent’anni – era il 1951 – Valentino fu espulso dal Protettorato britannico del paese. Stabilitosi a Roma, all’università conobbe Luciana Castellina e s’iscrisse al Pci. Alle elezioni del 1953, lavorò per la federazione di Agrigento, ma poi tornò nella capitale, da corrispondente per l’Unità e poi redattore economico a Rinascita, portato da Pajetta. Sposò Clara Valenziano da cui ebbe i primi due figli, Enrico e Matteo. Il suo secondo matrimonio sarà con Delfina Bonada, da cui nascerà Valentina.

Nel 1969 fu radiato dal Pci insieme agli altri fondatori e fondatrici de il manifesto. Da quel momento in poi la sua storia politica e lavorativa è iscritta nel dna della nuova creatura editoriale: dopo il mensile gestito da una cooperativa formata di intellettuali e giornalisti, fu la volta del giornale vero e proprio, dal 28 aprile 1971, con Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Luciana Castellina, Lucio Magri, Aldo Natoli, Ninetta Zandegiacomi. Valentino fu direttore a più riprese: dal 1975 al 1985 (affiancato da altri direttori), poi dal 1988 al 1990 e dal 1995 fino al 30 marzo 1998 e con altri dal 2009 al 2010. Parlato ha resistito come timoniere esperto a tutte le crisi finanziarie, impegnandosi sempre per la salvezza de il manifesto. Fino all’amministrazione coatta del 2011, quando uscì dalla redazione insieme ad altre firme, mostrando il suo disaccordo politico. Negli anni seguenti, però, aveva ricominciato a scrivere per il suo quotidiano.

Valentino Parlato si è raccontato in un eccentrico documentario, girato nel 2005 dal figlio Matteo con Roberto Salinas e Marina Catucci: Vita e avventure del signor di Bric à Brac, dove ripercorre le tappe della sua biografia, dall’infanzia in Libia al comitato centrale di Botteghe Oscure, allo sfarinamento sconcertante della sinistra odierna.

Fra i suoi saggi – oltre a una introduzione folgorante sulla Questione delle abitazioni di Engels – la cura delle opere di Adam Smith, Lenin e Antonio Gramsci.

E quelli dedicati al giornale: Se trentacinque anni vi sembrano pochi, La rivoluzione non russa. Quaranta anni di storia del Manifesto.