Passi troppo piccoli, tempi troppo lenti, leadership globale in netto calo rispetto a Parigi. Il bilancio della Conferenza di Katowice non è entusiasmante. Soprattutto dopo il rapporto dell’Ipcc che aveva valutato la differenza degli impatti di un aumento da 1,5°ai 2°C. Oltre alla valutazione di una finestra di 12 anni per rispettare l’obiettivo di non superare i 1,5°C. Ci si aspettava un impulso alla revisione degli impegni nazionali. Non c’è stato e così questa 24ma Conferenza sui cambiamenti climatici è stata politicamente assai deludente.

Questa revisione – secondo la previsione dell’Accordo di Parigi – dovrà essere decisa nel 2020 mentre la COP24 doveva approvare le procedure tecniche per rendere misurabili e confrontabili in modo trasparente i diversi obiettivi nazionali. Se questo “obiettivo tecnico” è stato raggiunto – e meno male – la discussione politica ha fatto un passo indietro.

Questo arretramento lo si era visto da subito, quando Usa, Russia, Arabia Saudita e Kuwait – tutti grandi produttori di petrolio – avevano rifiutato di “accogliere” proprio l’ultimo rapporto dell’Ipcc. Per certi versi questa prima mossa – avvenuta nella discussione del Substa, un organo tecnico della Convenzione sui cambiamenti climatici – aveva comunque fatto chiarezza, come notava il sito climalteranti.it, fonte di ampia analisi e documentazione sulle varie fasi del negoziato. Se allo schieramento “fossile” sopra citato aggiungiamo il Brasile di Bolsonaro, il quadro è ancora più evidente.

Rispetto a Parigi si registra un netto calo di leadership, non sufficientemente controbilanciato da un’Europa il cui ruolo rispetto ad alcuni anni fa si è certamente appannato. Su questo versante qualche segnale positivo viene proprio dalla Polonia, uno dei Paesi più recalcitranti sul clima, in difesa del suo carbone cui attribuisce – a torto – un valore insostituibile di autonomia. In Polonia finalmente il dibattito – difficilissimo – sull’uscita dal carbone si è finalmente aperto: questa è stata la terza COP climatica in quel Paese, prima non era accaduto.

Molto importante è stata l’iniziativa della Pontificia Accademia delle Scienze che, assieme all’Accademia delle Scienze della Polonia, hanno siglato un ‘memorandum’ congiunto chiedendo «una transizione dal settore critico del carbone basata sul rispetto dell’uomo non più tardi del 2030» – mentre i sindacati polacchi si esprimevano contro l’ipotesi di phase-out. Ma la questione è stata sollevata e in modo mai così evidente come ora.

Le criticità non sono dunque legate solo alle politiche di Trump – gli Usa comunque non sono ancora tecnicamente usciti dall’accordo di Parigi – ma esiste un tema oggettivo di transizione e di equità. La questione cruciale è infatti quella di una “transizione giusta” verso il nuovo modello energetico: alcuni settori – a partire dal quello del carbone e poi delle fossili – dovranno essere progressivamente chiusi, altri dovranno essere sviluppati e questo richiede politiche attente – riqualificazione dei lavoratori, compensazioni e altri ammortizzatori sociali – per mitigare gli effetti sociali di quella che sarà la grande trasformazione di questo secolo. Ambiente ed equità sociale devono andare insieme, altrimenti non si avrà né l’uno né l’altra.

Positiva la posizione italiana, schierata in campo internazionale dalla parte dei Paesi “ambiziosi” (ed era già successo in sede europea). Peccato però che poi non si vogliano fare i “compiti a casa” in modo coerente: il decreto sulle rinnovabili sul piano quantitativo non si discosta molto da quello di Calenda (che era migliorativo rispetto al passato, ma ancora insufficiente); il sottosegretario Crippa ha annunciato che l’Italia rivedrà al ribasso gli impegni europei al 2030 (dopo che lo stesso governo aveva contribuito ad alzarli un po’ in sede Ue). Una linea di continuità con i precedenti governo: ma una delle cinque stelle non era l’energia?

Questa posizione al ribasso coincide con quella espressa nel Libro Bianco di Confindustria: ipotesi risibili prevedono un calo della domanda elettrica (quando ci si aspetta invece di elettrificare servizi che oggi non lo sono, a partire dai trasporti individuali). In questo modo Confindustria presenta una quota delle rinnovabili elettriche in crescita ma senza muoversi in numeri assoluti, in continuità con l’obiettivo di mantenere le quote di gas naturale, vero punto centrale della strategia energetica nazionale di Calenda. Un “governo del cambiamento” che su questo tema si muove (o si agita) rimanendo invece fermo dov’erano i governi precedenti.

Tornando al quadro generale, se nel 2015 a Parigi la situazione era favorevole alla cooperazione internazionale e al multilateralismo, oggi siamo di fronte a una forte crisi per le politiche di Trump. Anche se va comunque sottolineato l’isolamento degli Usa al G20 (come nel 2017) e l’approvazione del documento tecnico – il rulebook – a Katowice che comunque tiene a galla il quadro negoziale multilaterale: gli strumenti tecnici per andare avanti sono stati approvati. Ma la sfida è totalmente inedita nella storia dell’umanità e per vincerla serve una cooperazione globale: anche per questo pace e clima sono collegati.

Per rispondere a questa sfida non mancano né le tecnologie né le risorse finanziarie. L’unica cosa che davvero scarseggia è proprio il tempo. E a Katowice siamo andati avanti adagio, troppo. Come si dice, il tempo stringe.