Oggi e domani il presidente cinese Xi Jinping ospita un vertice – in forma virtuale – dei Paesi Brics ( Brasile, Russia, India Cina e Sudafrica). La riunione verte sulla promozione della partenships.

Per avviare una nuova era di sviluppo globale.
Venerdì l’incontro sarà dedicato al progetto di costruire relazioni economiche sostenibili tra i Brics e altre economie emergenti. Partecipano, oltre al Presidente del paese ospitante, Vladimir Putin, Naredna Modi, Jair Bolsonaro e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa. Almeno stando alle comunicazioni ufficiali. Ma non c’è dubbio che il tema di fondo sarà la guerra russo-ucraina e i cambiamenti che essa sta producendo a livello geopolitico e dell’economia mondiale. L’acronimo – divenuto Brics dopo il 2010 con l’inclusione del Sudafrica, venne creato una ventina di anni fa dall’economista britannico Jim O’Neil, allora presidente della Goldman Sachs Asset Management. Erano gli anni ruggenti della globalizzazione capitalistica e l’obiettivo era quello di estendere l’egemonia nordamericana sulle economie emergenti.

Ora la situazione si è rovesciata.
La riunione di Pechino avviene all’insegna di una sfida geopolitica alla decadente primazia mondiale statunitense. Le votazioni susseguitesi in questi mesi in sede Onu, dal 2 marzo in poi, per condannare l’invasione russa dell’Ucraina hanno rivelato a tutti che un’ampia maggioranza della popolazione mondiale vive in quei paesi dell’Africa (1,2 miliardi di persone), in India (1,4 miliardi), in Cina (1,4 miliardi) che non si sono uniti al voto di condanna. Considerarli come succubi della bramosia di potenza di Putin è peggio che stupido. In realtà sta avvenendo quello che – ce lo ricordava sul manifesto Lorenzo Kamel alcune settimane fa – la sociologa statunitense Janet Abu-Lughod già prevedeva nel 1989, data topica della storia mondiale, affermando che l’epoca dell’egemonia occidentale, con a capo gli Usa, il «secolo americano» come è stato chiamato, era agli sgoccioli e che sarebbe stato sostituita dal ritorno a un «relativo equilibrio tra molteplici centri di potere».

I decenni successivi hanno evidenziato come sia in corso, soprattutto dal punto di vista economico e politico, non ancora militare, una transizione egemonica mondiale da Ovest ad Est. Non è la prima volta, come ci hanno insegnato Braudel, Wallerstein, Arrighi e la loro fertile scuola, che nella storia mondiale avvengono processi geo-economico-politici di questa natura, legati alle diverse fasi dello sviluppo del capitalismo. Questi passaggi sono avvenuti in conseguenza di grandi scontri bellici. La stessa guerra russo-ucraina può essere vista come un tratto di questo percorso, particolarmente infelice perché posto su uno sciagurato piano inclinato. La presenza di armamenti nucleari in dotazione alle principali potenze dovrebbe renderci coscienti che passare attraverso la guerra per cambiare gli assetti geopolitici del mondo può portare ad una comune distruzione.

A chi dice che proprio per la sua potenza devastatrice non si arriverà all’uso di armi atomiche basterà ricordare le preveggenti parole con cui Primo Levi concluse la sua celebre trilogia sul mondo concentrazionario: «È avvenuto, quindi può accadere ancora». D’altro canto le cosiddette armi nucleari tattiche, sdoganate nel linguaggio corrente proprio nell’attuale guerra in corso nell’est europeo, hanno una potenza devastante già molto superiore a quella sprigionata a Hiroshima e a Nagasaki. Ma tanto le Amministrazioni repubblicane quanto quelle democratiche degli Usa non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi a un passaggio di consegne dell’egemonia mondiale. Per cui rivestono lo scontro in atto di presunte valenze fondative. Il limes tra democrazia e autocrazia correrebbe lungo le sponde dei grandi fiumi ucraini. Lì si giocherebbe l’eterna lotta tra il bene e il male. Aiutate, come in un riflesso pavloviano, dalle demenziali dichiarazioni del Medvedev di turno. Sullo scontro Nord-Sud sembra prendere il sopravvento quello fra Occidente e Oriente. Scriveva Edward W. Said a metà degli anni settanta che «l’Oriente stesso era in un certo senso un’invenzione dell’Occidente, sin dall’antichità luogo di avventure, popolato da creature esotiche».

Ora l’Oriente ha perso nel mainstream ogni aurea di dolce mistero. È diventato il nemico della civiltà e dei valori occidentali. E lo sarà sempre più nella propaganda filoatlantica – nella quale i nostri governanti sono immersi come dimostra il recente dibattito parlamentare -, specialmente se riusciranno a far credere che a Pechino, come già hanno titolato alcuni giornali, si riuniscono gli «amici di Putin». Certo, sta agli esiti del vertice dei Brics, capovolgere questa immagine.

La globalizzazione come l’abbiamo conosciuta e combattuta è finita sotto i colpi di un succedersi di crisi economiche, sanitarie, ambientali e belliche. È evidente ai più che siamo di fronte a un processo di de-globalizzazione.
Al massimo alcuni analisti parlano di una tendenza alla «riglobalizzazione selettiva», con una configurazione macroregionale del mondo e dell’economia. La vera svolta è che la fine della supremazia Usa non venga sostituita da altre, ma con un multipolarismo garantito da organismi internazionali profondamente riformati. Anche per questo obiettivo più di fondo è necessario il cessate il fuoco invece di soffiarci sopra e l’avvio immediato di un percorso di pace in Ucraina.