Era stata una delle prime decisioni del neo-ministro Schillaci: il 31 dicembre le mascherine sarebbero sparite persino dagli ospedali e dalle Rsa. E invece ieri il ministro ha firmato l’ordinanza che proroga obbligo delle Ffp2, almeno nelle strutture sanitarie, fino al 30 aprile. Anche il piano licenziato ieri dal ministero e denominato «Interventi in atto per la gestione della circolazione del SARS-CoV-2 nella stagione invernale 2022-2023» le riabilita. «L’utilizzo di mascherine – si legge nel documento – è efficace nel ridurre la trasmissione dei virus respiratori e nel caso in cui si documentasse un evidente peggioramento epidemiologico con grave impatto clinico e/o sul funzionamento dei servizi assistenziali, potrebbe essere indicato il loro utilizzo in spazi chiusi, finalizzato in particolare a proteggere le persone ad alto rischio di malattia grave».

NON È L’UNICA inversione a U del governo in materia di pandemia: nel caso di una risalita dei contagi si valuterà anche la «limitazione delle dimensioni degli eventi che prevedono assembramenti» e lo «smart working», che nel programma elettorale di FdI doveva essere riservato alle donne lavoratrici affinché non abbandonassero il nido. Per la scuola il testo rimanda al piano stilato dal governo Draghi o «Conte-ter», come l’aveva soprannominato Meloni. Piena fiducia anche alle linee guida sulla gestione domiciliare dei casi di Covid redatte dal precedente dicastero. E persino sulle vaccinazioni rimangono tutte le indicazioni ereditate dalla gestione Speranza, prevedendo anche «la possibilità di combinare le campagne di vaccinazione contro Covid-19 e influenza».

La continuità tra la strategia del governo Meloni e quelli che l’hanno preceduto crea qualche imbarazzo a Palazzo Chigi, dove si sarebbero preferite norme più identitarie. È uno dei motivi che ha ritardato la pubblicazione del «piano invernale» fino all’inverno inoltrato, nonostante fosse sulla scrivania del ministro già da settimane.

AL MOMENTO PERÒ i dati sul contagio non suggeriscono particolari allarmi. Stabile il numero di pazienti positivi in terapia intensiva, in calo i ricoveri in area medica, nessuna regione classificata a «rischio alto» e indice di trasmissione a 0,84, sotto la soglia epidemica.

L’unico motivo di tensione è generato dall’arrivo dei passeggeri cinesi. L’Europa, che ieri giudicava «ingiustificate» le misure italiane, ora si allinea almeno in parte: anche per volare verso Francia, Regno Unito e Spagna servirà un tampone negativo alla decollo in Cina (in Spagna basterà la vaccinazione). Ma non saranno effettuati test a tappeto all’arrivo come da noi. Nessuna nuova misura in Germania, per ora.

Senza la collaborazione di tutta l’Ue il piano Schillaci servirà solo a indispettire Pechino. Il ministro ha negato che le norme italiane siano discriminatorie. Ma la differenza tra chi arriva dalla Cina, costretto all’isolamento fino al tampone negativo, e il resto della popolazione, è innegabile. Da ieri una norma contenuta nel decreto «Rave» abroga l’obbligo di test per uscire dall’isolamento.

DA MALPENSA, L’ASSESSORE lombardo Guido Bertolaso ha fatto sapere che rimane alta (ieri 26 su 56) la percentuale di tamponi positivi all’arrivo dalla Cina. Per sapere se si tratti di nuove varianti – l’informazione che conta davvero – bisognerà aspettare i primi giorni di gennaio perché il sequenziamento è assai più laborioso di un test antigenico. L’attenzione è rivolta alla variante ricombinante Xbb, che secondo i primi dati presenta un maggior rischio di reinfezione. In Italia è già presente (è il 2% del totale, stabile rispetto a novembre, secondo il report Iss di ieri) e il Paese in cui è più diffusa sono gli Usa, per i quali non sono previste precauzioni.

SEQUENZIARE TUTTI i positivi in arrivo dalla Cina sarà già un’impresa. Nella ricerca delle varianti l’Italia è sempre stata indietro rispetto agli altri paesi. Secondo la piattaforma Gisaid, che raccoglie le sequenze virali rilevate in tutto il mondo, l’Italia nell’ultimo mese ha effettuato meno di cento sequenziamenti al giorno. La Francia ne fa circa il doppio, Germania e Danimarca cinque volte di più, il Regno Unito sei. In Europa occidentale solo la Spagna sequenzia meno di noi. Il vero buco nella rete è questo.