Gli scienziati non se l’aspettavano. Con la procura di Bergamo avevano finora parlato come testimoni, senza avvocati al seguito. Si trattava – credevano – di spiegare come mai, dopo la raccomandazione da parte del Comitato Tecnico Scientifico (Cts) di istituire una zona rossa in Valseriana datata 3 marzo 2020, la Regione sia rimasta inerte e il governo abbia aspettato l’8 marzo. Di trovarsi indagati per epidemia colposa non l’avevano previsto e ora, lontani dai microfoni, molti di loro si dicono amareggiati.

Di fatto, la procura ha riletto quelle giornate da un punto di vista inedito che ribalta il ruolo di ricercatori di fama come il direttore dell’Iss Silvio Brusaferro, l’infettivologo Giuseppe Ippolito e l’oncologo Franco Locatelli.

Il coinvolgimento degli esperti nasce da una retrodatazione. La procura ipotizza che la zona rossa di Alzano e Nembro potesse essere istituita non il 3 marzo del 2020, come sostenuto da molte inchieste giornalistiche, ma il 26 febbraio, quasi una settimana prima. In quella data il governo interpellò per la prima volta il Cts. I casi segnalati nell’intera provincia erano una ventina appena, ma i magistrati accusano comunque gli esperti di non aver raccomandato provvedimenti più restrittivi. E di non averlo fatto nemmeno nelle successive riunioni di fine febbraio, un’omissione che costò molte vite umane secondo la perizia dell’epidemiologo Andrea Crisanti. Eppure, sostiene la procura, l’epidemiologo della Fondazione «Bruno Kessler» Stefano Merler il 28 febbraio aveva avvertito regione e governo che il virus a Bergamo era fuori controllo. Di qui l’accusa di epidemia colposa estesa agli esperti, e non solo a Fontana, Conte e Speranza.

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Per molti aspetti, sembra un remake dell’inchiesta contro la Commissione Grandi Rischi dell’Aquila, che vide alla sbarra i sismologi accusati di aver rassicurato la popolazione alla vigilia della scossa del 6 aprile del 2009. Anche allora il lavoro dei magistrati fu circondato dalle aspettative dell’opinione pubblica, e provò a valutare come gli esperti avevano analizzato un evento ad altissimo tasso di incertezza. Alla fine gli scienziati ne uscirono assolti, ma solo in appello e dopo sei anni di processo.

In caso di rinvio a giudizio, anche l’inchiesta di Bergamo finirà così? Alcuni indizi lo suggerirebbero. Come ha ammesso lo stesso capo della procura Antonio Chiappani, il reato di epidemia colposa prevede una condotta attiva da parte degli accusati – la legge parla di «diffusione di germi patogeni» – e non un’omissione come oggi si rimprovera loro. Ma molto dipenderà da come i giudici valuteranno l’operato del Cts in una data particolare: quella del 28 febbraio 2020, quando agli esperti del governo fu chiesto un secondo parere sull’estensione della zona rossa ai comuni della Bergamasca. I dati della «Bruno Kessler» erano in effetti allarmanti, ma si basavano su evidenze ancora frammentarie. Alla fine gli esperti – emerge dal verbale di quella riunione – non consigliarono la zona rossa «secondo un principio di proporzionalità e adeguatezza». Ma prescrissero comunque la chiusura delle scuole, il lavoro agile per tutta l’Italia, la chiusura dei negozi in cui non fosse rispettato il distanziamento. In caso di rinvio a giudizio, sarà il tribunale a stabilire se quella decisione fosse in linea con il piano antipandemico appena stilato e allora tenuto segreto.

Addossare agli scienziati la responsabilità delle decisioni sarebbe però fuorviante. Quelli furono i giorni in cui gli industriali locali si sforzarono di mostrare che «Bergamo is running» e che il virus non stava bloccando le imprese. Il presidente della locale Confindustria Marco Bonometti arrivò a diffondere la fake news secondo cui il coronavirus era trasmesso dal bestiame pur di negare la realtà. I timori per gli effetti economici di un lockdown pesarono certo più del parere degli epidemiologi sulle scelte di Conte e Fontana.

Il precedente dell’Aquila però non lascia tranquilli gli scienziati. In un’aula di tribunale è sempre difficile riportare la natura dialettica del dibattito scientifico, in cui l’incertezza conta assai più delle verità assolute. Il rischio è che anche davanti al giudice la politica sfrutti gli esperti per scaricare le responsabilità che le spettano. E che nessuno risponda delle morti della Valseriana.