Aria fritta per il futuro dei palestinesi, importanti opportunità per i rapporti tra Israele e le monarchie del Golfo. La conferenza economica in Bahrain voluta dagli Stati uniti ha confermato le previsioni della vigilia. Sebbene il suo ideatore, l’inviato Usa Jared Kushner, si sia detto convinto che «la pace» si possa ottenere attraverso lo sviluppo economico dei Territori occupati palestinesi e che l’obiettivo della raccolta di 50 miliardi di dollari è fattibile, di concreto dai due giorni a Manama è uscito poco o nulla. Scontati gli interventi di personaggi internazionali. Tra questi c’era anche il presidente della Fifa, Gianni Infantino. Ha promesso «nuovi campi da calcio» nei Territori occupati ma si è guardato dal promettere misure per facilitare i movimenti dei calciatori palestinesi e dei loro club ristretti dalle autorità militari israeliane. In ogni caso i palestinesi, che hanno boicottato l’incontro, restano fermi sulle loro posizioni. Ribadiscono che il piano Usa – Accordo del Secolo/Conferenza in Bahrain – baratta i loro diritti sanciti dal diritto internazionale per miliardi di dollari solo sulla carta. E, aggiungono, «nessun popolo con dignità può accettare queste proposte». Ben più concreto ciò che ha ottenuto Israele dal forum a Manama. «Vogliamo la pace con Israele, è un paese della regione e naturalmente vi rimarrà vogliamo avere migliori relazioni con esso», ha annunciato il ministro degli esteri del Bahrein Khalid bin Ahmed Al Khalifa in una intervista, senza però impegnarsi ad una normalizzazione dei rapporti nel prossimo futuro. Della conferenza in Bahrain abbiamo parlato con l’analista giordano Uraib al Rintawi, del quotidiano a-Dostour.

Kushner parla di «opportunità del secolo» per i palestinesi e li invita a non respingere le sue proposte.

I palestinesi hanno fatto bene a boicottare il forum in Bahrain. Perché è chiaro che i fondi di cui parla l’Amministrazione Trump sono una contropartita alla rinuncia (dei palestinesi) alla libertà e alla sovranità. I palestinesi avranno gli aiuti solo se metteranno fine al loro progetto nazionale e al diritto al ritorno per i loro profughi. Temo però che l’“Accordo del secolo” sia in atto già da lungo tempo sebbene non sia stato ancora annunciato ufficialmente. Trump ha assegnato tutta Gerusalemme a Israele, ha tagliato i fondi Usa per il sostegno umanitario ai palestinesi, ha chiuso la sede dell’Olp a Washington, ha abbandonato al suo destino Gaza ed è pronto a riconoscere l’annessione di gran parte della Cisgiordania a Israele quando Netanyahu deciderà di farlo. La conferenza in Bahrain ha rappresentato uno sviluppo del piano Usa anche su di un altro aspetto centrale, l’avvicinamento tra certi paesi arabi, come Arabia saudita, Emirati e Bahrain, a Israele.

A Manama sono andati anche altri paesi arabi che l’“Accordo del secolo” dovrebbero temerlo. La Giordania ad esempio, destinataria secondo la proposta americana di alcuni miliardi di dollari perché ospita profughi palestinesi.

La Giordania ha partecipato alla conferenza perché non poteva dire di no agli Stati uniti, il potente alleato che ogni anno versa nelle sue casse aiuti per un miliardo e mezzo di dollari. Ma sa bene che gli aiuti di cui ha parlato Kushner sono destinati all’assorbimento definitivo e alla naturalizzazione dei profughi palestinesi. Questa soluzione non trova consenso in Giordania dove i palestinesi sono milioni. Avrebbe inoltre un impatto sociale e politico interno di grandi proporzioni perché i cittadini giordani originari diventerebbero una esigua minoranza nel loro paese. Per questo che Amman insiste su un punto: i palestinesi devono trovare la realizzazione dei loro diritti ed avere uno Stato nella loro terra, in Palestina. Questa è anche la posizione del Libano. Beirut ha boicottato la conferenza di Manama perché la ritiene parte di un progetto israelo-americano che punta alla naturalizzazione dei profughi nei paesi arabi in cui vivono.

Gli Usa pensano di destinare all’Egitto una porzione dei 50 miliardi di dollari più ampia di quelle pensate per Giordania e Libano, nonostante ospiti poche migliaia di profughi.

Si tratta di una sorta di ricompensa per l’alleanza di ferro che (il presidente egiziano) El Sisi mantiene con l’Amministrazione Usa e per il fatto che all’Egitto sarà chiesto di cedere porzioni del Sinai per rendere più ampio il territorio di Gaza. Comunque sia le criticità del piano Usa sono enormi. Non se ne farà nulla ma Israele ne uscirà soddisfatto perché stringerà ulteriormente i rapporti con le monarchie del Golfo con le quali condivide la posizione anti-iraniana.